Itinerario: Cemitério dos Prazeres, Mercado de Campo de Ourique, molo di Alcântara, Museu Nacional de Arte Antiga
Un capolinea del tram 28 è Prazeres. Siamo andati a cercarlo un po’ dovunque a Lisbona, lui e i suoi personaggi, ora l’omaggio a Tabucchi lo facciamo alla sua tomba al Cemitério dos Prazeres, il Cimitero dei Piaceri, sulla collina più alta del quartiere de Campo de Ourique, costruito nel 1833, ha ospitato la tomba di Pessoa fino a quando, nel 1985, fu traslata nel chiostro del Mosteiro dos Jeronimos a Bélem.
Antonio Tabucchi, che ha ambientato un capitolo del suo Requiem, romanzo scritto in portoghese, in questo cimitero monumentale, così lo descrive:
“Le lapidi sono sobrie, l’architettura delle cappelle discreta, l’erba dei prati impeccabile, la pace, ovviamente, eterna. Il piacere, oltre alla vista di un superbo panorama sul Tago, è poter sostare ad libitum su una panchina dei viali di cipressi senza essere disturbato, fuor di metafora, da anima viva” (La Lisbona di un mio libro in Viaggi e altri viaggi, Feltrinelli, Milano, 2010, p. 165).
Alla destra del viale alberato, vicino all’ingresso, raggiungiamo la piccola cappella con la scritta Escritores portugueses II. Non è strano come può sembrare, Tabucchi è uno scrittore internazionale, nato a Pisa, vissuto a Vecchiano, il suo amore per il Portogallo è di vecchia data, ci venne per la prima vota nel 1965 su una Fiat Cinquecento, alimentato dalla lettura di un libricino di Fernando Pessoa trovato a Parigi l’anno prima, e a metà degli anni Duemila si è trasferito a Lisbona.
Seguire il percorso attraverso Lisbona dell’io-narrante di Requiem, il romanzo ha come sottotitolo un’allucinazione, è impossibile, perché il suo è un vagabondaggio illogico, ma due luoghi sono imperdibili: Alcântara, dove inizia e si conclude il romanzo, e il Museu di Arte Antica, dove il protagonista si ferma a guardare Le tentazioni di sant’Antonio di Bosh e un particolare del trittico: un pesce volante cavalcato da due personaggi misteriosi.
Appena fuori dal Cimitero, raggiungiamo il Mercado de Campo de Ourique, beviamo un Sumol de ananas fresco come fa il protagonista di Requiem prima di bersi un Janelas Verdes’ Dream, giriamo tra i banchi del pesce dove abbondano cassette di carapau e di sardinhas, scattiamo qualche fotografia alle varinas, le pescivendole, siamo colpiti da una donna della Peixaria da Sofia che guarda assorta il suo pesce. Decidiamo di scendere la collina a piedi verso il molo di Alcântara per raggiungere il Museo di Arte Antica. Fa caldo, ci perdiamo un po’ tra le viuzze e il percorso sembra più lungo.
Quando arriviamo in Rua das Janelas Verdes, cioè delle Finestre Verdi, decidiamo di fare una sosta sulla terrazza affacciata sul tratto finale del molo di Alcântara in cui il fiume si allarga fino a diventare mare, proprio di fronte al Museo di Arte Antica. Ci sediamo su una panchina all’ombra di una pergola enorme tenuta da una struttura in ferro. Sul Tago navi-merci, cantieri, gru, pontili, sopraelevate, la sagoma del Ponte 25 Aprile, auto parcheggiate lungo un canale, sul molo magazzini, bar e un grande ristorante ricavato da una vecchia fabbrica disegnano un paesaggio di ferraglie e di edifici riconvertiti non bello, ma esempio interessante di architettura industriale, e luogo ideale per l’incontro dell’io-narrante di Requiem con Fernando Pessoa.
Siamo all’ora di pranzo e nel museo non c’è quasi nessuno, siamo soli davanti al trittico delle Tentazioni di sant’Antonio e per fortuna ci restiamo indisturbati per quasi un’ora. È la prima volta che siamo di fronte al capolavoro di Bosh (1503 circa), ci sediamo e con calma proviamo a capirci qualcosa. Nel pannello di sinistra Antonio viene rapito in cielo e poi, dopo la caduta, trasportato su un ponticello sopra uno stagno. In quello di destra, Antonio legge mentre intorno a lui si consumano orge e banchetti, volano vascelli, uccelli e pesci come macchine da guerra. Al centro del pannello centrale il volto del santo, inginocchiato sul palcoscenico del mondo e assediato da creature mostruose, ci guarda. E con la mano destra indica il Crocefisso dentro una piccola cappella dentro un rudere, quasi esiliato. Antonio, con la sua volontà, lotta e resiste. Sembra perso in un mondo onirico, in preda a un incubo, invece è immerso nella realtà olandese, riconoscibile da fattorie e mulini, contadini e soldati. Tra i tanti dettagli di questa palude infernale, l’io-narrante di Requiem rimane colpito soprattutto da quello “del pannello laterale destro, nel quale si vedono un uomo grasso e una vecchia che viaggiano per il cielo a cavallo di un pesce” riprodotto a grandi dimensioni da un pittore copista su committenza di un miliardario texano. Il copista si permette di contraddire i critici dicendo che quel pesce è una tinca e non una cernia. I due, a cavallo della tinca, “che ama il fango”, vanno verso il diavolo.
“È uno dei quadri più enigmatici della storia dell’arte. Nella sua interpretazione si sono esercitate menti eccelse. Gli esiti sono stati antitetici.”, sostiene Melania Mazzucco nel suo lavoro Il museo del mondo.
Il copista di Requiem ci fornisce la sua: “Bosch aveva un’immaginazione perversa, disse, questa immaginazione l’ha attribuita al povero Sant’Antonio, ma l’immaginazione è del pittore, era lui che pensava tutte queste brutte cose… Bosch dipinse la tempesta che si era scatenata nell’anima del santo, dipinse un delirio”.
Melania Mazzucco sceglie, tra le tante, la migliore interpretazione per lei e si affida a quella data nel 1605 dal teologo fra Sigüenza, legato alla corte di Spagna: “Tutti gli altri cercano di ritrarre l’uomo come appare all’esterno, mentre lui solo (Bosch, ndr) ha avuto l’ardire di dipingerlo qual è dal di dentro”.
È arrivato il momento di congedarci dalle Tentazioni di Bosh e di ritornare alla luce, all’aria e al cibo di Lisbona. Ciao Hieronymus, ciao, ci hai stupiti molto.
odellac settembre 2019