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La maschera è uno strumento per nascondere l’identità del proprio volto ma non per ingannare. È troppo evidente il contesto in cui la maschera si rivela perché si possa pensare che l’identità esibita attraverso la maschera possa essere reale. Anche l’illusione che crea la maschera è limitata perché è trasparente la falsità. Per l’uomo moderno è difficile immedesimarsi nella maschera perché non è più circondato da quel contesto mitico, rituale che poteva creare l’illusione della presenza nel corpo mascherato della divinità .

Perché allora c’è bisogno di mascherarsi.

La maschera può essere uno strumento per superare la barriera della ritrosia, del pudore, per mostrarsi, per esporsi senza la paura prodotta dal mostrarsi direttamente, della nudità, della paura della nudità del proprio io. Ma la molla del mascheramento può essere anche il narcisismo, l’esibizionismo, la voglia di mostrarsi in un modo insolito e perciò attraente. Mascherarasi consente di giocare con la propria psiche senza prendersi sul serio e nello stesso tempo di soddisfare il bisogno di rivelarsi, di essere visti dagli altri. Le maschere che si incontrano a Venezia, a Lucca, alle sfilate e alle feste oggi si offrono al fotografo affinché il loro corpo mascherato, la loro immagine costruita e idealizzata possa essere catturata ed esibita.

La maschera, con il suo evidente legame con la falsità, da un certo punto di vista rappresenta l’opposto della fotografia in quanto è forte la tendenza per l’immagine fotografica ad apparire come veritiera, a creare forme di illusione che possono avvicinarsi all’inganno.  Barthes assimilava la fotografia all’allucinazione in quanto capace di sostituirsi all’immagine reale per il soggetto che la guarda. La maschera rimane invece  un oggetto totalmente artificiale che cela il reale ma in modo esplicito; lo nasconde, lo occulta come fa una tenda che copre la finestra. Basta tirarla per scoprire quello che c’è dietro.

La maschera però in qualche caso può però essere una sorte di fotografia. Un esempio di ciò è dato dalle maschere funerarie. Nel secolo scorso era nota una maschera cui era stato dato il nome di “La sconosciuta della Senna” una giovane non identificata, morta secondo la tradizione più nota annegata nella Senna . Circolava la voce che un dipendente dell’obitorio, affascinato dalla sua bellezza, ne avesse fatto un calco in gesso per immortalarne il viso. Era una sorta di fotografia tridimensionale, il prodotto di tracce lasciate da un passato che non esiste più.

La maschera mortuaria della giovane donna cominciò a circolare grazie ai calchi che vennero riprodotti. Il viso della sconosciuta con gli occhi chiusi e con un misterioso sorriso divenne popolare ed affascinò diversi artisti fino ad ispirare alcuni personaggi di opere letterarie come la figura della sconosciuta nel romanzo di Rainer Maria Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge.

La morte per annegamento nel fiume è probabilmente solo leggenda, anche perché i cadaveri degli annegati vengono trovati quasi sempre deformati. La giovane non identificata sarebbe morta di tubercolosi o suicida ma non annegata.

Le fotografie possono avere un ruolo analogo a quello di questa maschera, quello di evocare persone, il passato, di suscitare emozioni attraverso un istante congelato di luce che racchiude un mistero, che indica la realtà senza mostrarla così come è.

Le fotografie sono maschere della realtà, come queste fotografie dei Cosplay a Lucca sono tracce che rivelano un mondo di maschere che si sovrappone ad un altro mondo, quello dei fumetti, dei cartoni, che è inserito nel nostro mondo in cui viviamo, una sorta di intreccio di scatole cinesi in cui però nessun contenitore contiene completamente l’altro. Le relazioni tra questi mondi sono diverse da quelle dell’inclusione e del rispecchiamento. Tra i tre mondi esistono solo legami deboli, soggettivi, malleabili.

Un altro aspetto che mi ha colpito è la facilità con cui si possono incontrare i soggetti da fotografare in giro sulle mura di Lucca, una facilità che procura una strana sensazione. In genere soffro per la penuria di soggetti da fotografare. La ricerca è spesso infruttuosa. Qui sulle mura di Lucca invece ci si trova all’improvviso nella sovrabbondanza. Soggetti che girano intorno a te, che si offrono, che lanciano i loro sguardi per attirare l’attenzione dei frastornati fotografi. Questa ricchezza mette il fotografo di fronte ad uno dei problemi fondamentali per la fotografia contemporanea, quello della scelta. Oramai viviamo in mezzo ad una quantità enorme di fotografie ed è facile fotografare. Anche se una sorta di intransigenza estetica crea la penuria dei soggetti, la tecnologia compensa con la sovrabbondanza degli oggetti, delle fotografie. Un buon fotografo è oggi colui che sa scegliere, che sa scartare. E però così difficile scartare che talvolta vince la tentazione di lasciare tutto lì, nella memoria della macchina fotografica.

massimocec dicembre 2011