“Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio professore si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della realtà. Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev’essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità. Chi lo possiede non dice, ad esempio: qui è accaduto questo o quello, accadrà, deve accadere; ma immagina: qui potrebbe, o dovrebbe accadere la tale o tal altra cosa; e se gli si dichiara che una cosa è com’è, egli pensa: beh, probabilmente potrebbe anche esser diverso. Cosicché il senso della possibilità si potrebbe anche definire come la capacità di pensare tutto quello che potrebbe essere, e di non dar maggior importanza a quello che è, che a quello che non è” (da L’uomo senza qualità, trad. A. Rho, Torino, Einaudi, 1972)
È innegabile che per varcare una porta aperta senza subire danni è necessario tener presente che gli stipiti sono duri, e questo è il senso di realtà, senso che non può essere accantonato altrimenti le cose prendono il sopravvento e ci possono distruggere. Ma il senso di realtà non è sufficiente per vivere pienamente la propria esistenza perché le cose prendono il sopravvento anche se consideriamo gli stipiti come unico modo di manifestarsi di quella porta aperta. La porta è anche vuoto, mera possibilità di andare oltre. E ciò che troviamo oltre gli stipiti altro non è che una nuova manifestazione della stessa realtà. Il senso del possibile non è legato alla mera possibilità di evadere nella fantasia e nel sogno, ma è la capacità di vedere la realtà come un insieme di aspetti che cambiano, che si rivelano continuamente nuovi perché stanno oltre quella porta aperta, anche quando apparentemente rimangono gli stessi.
La realtà è sempre qualcosa di nuovo. Il tabaccaio Auggie nel film Smoke di Wayne Wang fotografa tutti i giorni alla stessa ora lo stesso punto di Brooklyn all’angolo tra la Settima Avenue e la Terza Strada. E quando il suo amico scrittore gli chiede perché tutti i giorni fotografi lo stesso punto della città che rimane sempre uguale, il filosofo tabaccaio risponde che non è così perché tutti i giorni c’è qualcosa di nuovo che vale la pena di essere fotografato. La realtà non si ripete meccanicamente, il suo manifestarsi è qualcosa di inaspettato e la fotografia è uno strumento per esplorare le infinite possibilità di mostrarsi delle cose. La fotografia è uno strumento per esplorare il senso del possibile perché da un lato essa non può fare a meno della realtà per esistere, per materializzarsi in un’immagine, e dall’altro non può fare a meno di rappresentare questa realtà in una forma ambigua, in un elemento surreale perché ogni fotografia e sempre un’astrazione, una segmentazione, un ritaglio della realtà. Ogni fotografia è un frammento di realtà isolato dalla continuità spazio-temporale, un frammento collocato in una dimensione in cui le indicazioni di spazio di tempo diventano labili. Gli oggetti sono separati dal loro contesto più ampio e diventano apparenze momentanee trasformate in oggetti materiali, solidificati.
L’esplorazione del senso del possibile quindi non è fuga nella fantasia, nell’immaginazione onirica ma è esplorazione delle molteplici possibilità con cui la realtà può manifestarsi perché la realtà non è solo un dato ma è il prodotto di relazioni e di una costruzione in cui i soggetti che la abitano giocano un ruolo attivo. Ogni soggetto che vive nella realtà è immerso in essa, circondato da altri soggetti, dalle cose, dagli sguardi, dai contatti diretti e a distanza con il mondo, ma la sua è un’immersione attiva, che modifica le relazioni e quindi il manifestarsi delle cose.
La realtà è un insieme di relazioni che possono rivelarsi come nuove, inusuali, inaspettate e la fotografia può aiutare a scoprirle, a renderle percepibili, visibili. Accostamenti inusuali di oggetti che rimandano a rapporti di non abituali, a scambio di ruoli, a punti di vista insoliti, l’isolamento di oggetti dal loro contesto che li trasfigura, mutando la loro identità non sono bizzarre invenzioni di avanguardie artistiche ma modalità di osservazione lente, riflessive, pensate della realtà, modalità che consentano alla mente di superare gli stereotipi visivi che ci tengono lontani dallo sbattere contro lo stipite ma non ci fanno andare oltre la porta aperta che sta davanti a noi.
Massimo Ceccanti