Le colline pisane sono una mia passione. Hanno un aspetto morbido e sinuoso, sembrano il profilo di un corpo femminile, un corpo che si veste con colori diversi con il cambiare delle stagioni. Percorrere le strade che le attraversano è un po’ come ascoltare le melodie suadenti del fado portoghese, una musica che rapisce usando la dolcezza e le lusinghe delle sue sonorità accompagnate da un vago e inquietante fascino legato ad una intrinseca sensazione di tristezza, di malinconia, di consapevolezza dell’assenza di qualcosa di indefinito e della solitudine in cui siamo immersi. Spesso per percorrere quelle strade mi è capitato di allungare l’itinerario per potermi perdere nelle immagini prodotte nel mio cervello da uno sguardo girovago non attratto da nessun punto preciso fino quando non appare un casolare o un paesino disteso sul versante di una collina. È quello che mi è capitato in un pomeriggio d’estate durante percorso di uno dei miei itinerari volutamente deviato quando dopo una curva è comparso sulla collina di fronte Casale Marittimo. In quel pomeriggio d’estate illuminato dalla luce limpida e da un sole rovente sembrava che i colori delle pietre del paese cercassero una sorta di consonanza con i colori dei campi dove il grano era stato da poco tagliato. Il paese era quasi deserto e i pochi rumori che l’orecchio riusciva a percepire erano attutiti, lontani. Sensazioni e immagini in grado di trasformare l’aridità della calura della giornata estiva in qualcosa di piacevole da assaporare con calma, quasi lasciandosi trasportare da ciò che ci circonda. Sono paesaggi in grado di trasformare l’ introduzione della lavanda pomposamente evocato come “angolo della Provenza” in un un’atmosfera vagamente felliniana che attenua l’aspetto di fiera paesana un po’ grossolana e smaccatamente turistica.
massimocec luglio 2021