Il pomeriggio precedente aveva nevicato abbondantemente e io avevo faticato non poco a tornare a casa. scivolavo sui marciapiedi dove la neve era ghiacciata. La sera continuò a nevicare. Il mattino dopo era a casa, era un sabato. C’era il sole e io mi sentivo un po’ come Guglielmo, il protagonista del racconto Il Taglio del bosco di Carlo Cassola che un mattino si sveglia e scopre di essere stato proiettato quasi in un altro mondo che aveva sostituito temporaneamente quello abituale: “Guglielmo fece tutto un sonno. Quando si svegliò rimase sorpreso del silenzio che regnava fuori. Che fosse tornato il bel tempo? Accese un cerino e guardò l’orologio, che teneva appeso a un chiodo sopra il capo. Era ancora troppo presto per alzarsi. Ma, dopo un quarto d’ora, non reggendo più, si alzò. Sebbene cercasse di fare piano, il ragazzo si svegliò. “Che ore sono?” brontolò assonnato. “E’ ancora presto” rispose sottovoce Guglielmo. “Vado a dare un’occhiata fuori”. Ma la porta non cedeva alla pressione. Guglielmo non si raccapezzava. “Che diamine succede?”. Finalmente, facendo appello a tutte le sue energie, riuscì a smuoverla. “Che diamine è successo?” brontolò ancora, e subito dopo si rese conto della natura dell’ostacolo. Era neve. Albeggiava appena, ma Guglielmo fu in grado di constatare che durante la notte era caduta un’abbondante nevicata. C’era un palmo di neve alto sul suolo. Diresse a caso i suoi passi su quel morbido e cedevole tappeto. Non sapeva se essere contento o no, ma la novità finì per eccitarlo piacevolmente. Dimenticando gl’inconvenienti per la nevicata avrebbe finito col provocare, girò intorno al capanno, affondò le mani nella neve, scrollò un ramo di pino; rise quando sentì il gelo per il collo”. Anche io decisi di uscire di casa. Provai subito una strana sensazione. Le macchine non circolavano e io ero solo in mezzo al paesaggio inusuale creato dalla neve. Quello che più mi colpiva era, oltre al silenzio, la luce, una luce nitida, pura che percorreva l’aria fresca del mattino. I tecnici della fotografia dicono che tale luminosità è una sorta di inganno, l’effetto è dato dalla luce del sole che, riflessa dal paesaggio innevato, da l’impressione che la scena sia molto luminosa. E’ sicuramente così, ma l’impressione di essere immerso una sorta di paesaggio radioso rimase. Piano piano anche il viale delle Piagge cominciò a popolarsi di curiosi che si avventuravano in quel paesaggio inatteso, con qualche incertezza su come muoversi in quello strano ambiente.
Mi sono ricordato di alcune vecchie foto scattate da mio fratello nel 1985, in occasione di un’altra grande nevicata, quella dell’8 gennaio che coprì la città con una coltre bianca di 15 cm, paralizzando tutto. Io ero in Valtellina, e lì la neve arrivo qualche giorno dopo, ma anche in Lombardia in quantità eccezionale. Io addirittura rimasi bloccato sul treno che dalla scuola a Dervio, sul lago di Como, mi riportava a casa a Morbegno. Le scuole rimasero chiuse per alcuni giorni. Da Pisa i miei genitori mi telefonavano dicendo che non avevano mai visto tanta neve dai primi anni del dopoguerra, quando anche l’Arno qualche volta gelava, e che le temperature erano così basse che non era possibile impedire la formazione di ghiaccio sulle strade e negli scambi delle linee ferroviarie. Tutto bloccato, si poteva andare solo a piedi. Così fecero, poco attrezzati con un abbigliamento da neve improvvisato, ma incapaci di resistere alla curiosità di vedere come era Pisa sotto la neve e come era piazza dei Miracoli.
La neve, la nebbia, la notte sono fenomeni naturali che in qualche modo trasformano il paesaggio e il nostro rapporto emotivo on esso. La neve è uno dei fenomeni atmosferici che ha da sempre coinvolto emotivamente gli uomini, alterandone la sensazione del tempo, dello spazio, della luminosità, influendo sui loro stati d’animo. Sembra che durante la nevicata il tempo rallenti, impressioni nuove, talvolta positive altre negative si impossessano dell’animo umano. James Joyce nel racconto The Dead, l’ultimo della raccolta raccolta I Dublinesi, lega la neve al tema della morte vista come simbolo di immobilità: “Un lieve battito sul vetro lo fece voltare verso la finestra. Aveva ripreso a nevicare. restò a osservare, assonnato, i fiocchi di neve argentei e scuri, che scendevano obliquamente davanti al lampione. Era tempo per lui di mettersi in viaggio verso occidente. Sì, i giornali avevano ragione: nevicava in tutta l’Irlanda. La neve cadeva su ogni punto dell’oscura pianura centrale, sulle colline senza alberi, cadeva lenta sulla palude di Allen e, più a ovest, sulle onde scure e tumultuose dello Shannon. Cadeva anche sopra ogni punto del solitario cimitero sulla collina dove era sepolto Michael Furey. Si ammucchiava fitta sulle croci contorte e sulle lapidi, sulle punte del cancelletto, sui roveti spogli. La sua anima si dissolse lentamente nel sonno, mentre ascoltava la neve cadere lieve su tutto l’universo, come la discesa della loro ultima fine, su tutti i vivi e su tutti i morti.”. Diversamente nella Bibbia la neve è simbolo di purezza, di rinascita e di trasformazione, un elemento che scende per purificare dai peccati (Isaia 1,18): ““Anche se i vostri peccati fossero rossi come scarlatto, diventeranno bianchi come neve.”. Ancora la neve può far nascere stati d’animo contrassegnati da un senso di protezione come in Attraverso lo specchio di L. Carroll, Capitolo I.: “Senti la neve contro i vetri della finestra, Frufrù? Che suono dolce! Come se uno stesse baciando la finestra dal di fuori. Forse la neve vuol bene agli alberi e ai campi e li bacia così soavemente! E poi li copre ben bene, sai, con una coperta bianca, e forse dice: «Andate a letto, cari, andate a letto, cari!».
A proposito della nebbia, un fenomeno che si colloca all’opposto dal punto di vista della visione rispetto alla neve, un contrasto legato alla coppia di opposti trasparenza e luminosità contro, opacità, Remo Ceserani, curata con Umberto Eco, nella sua raccolta antologica dedicata a quest’altro fenomeno atmosferico prodotto dal vapore acqueo condensato che riduce la trasparenza dell’aria in in modo da modificare la nostra visione delle cose (Nebbia, Einaudi 2009 con fotografie di Luigi Ghirri) mostra come essa sia una presenza non indifferente nella letteratura che “ha mostrato la propensione a caricarsi di significati simbolici.” Da simbolo di corruzione e offuscamento nelle pagine dell’Oliver Twist di Dickens, al bisogno di autodifesa, di chiusura dentro un mondo familiare e protettivo in Nebbia di Pascoli, alla malinconia evocata nei paesaggi visti dalla finestra da Madame Bovary di Gustave Flaubert, all’impossibilità di vedere attraverso essa e quindi di prospettare il futuro, oppure della labilità della memoria e a molti altri temi.
Che cosa è quindi che veramente descriviamo o dipingiamo o fotografiamo. Le nostre rappresentazioni della realtà, materializzate in descrizioni verbali o in immagini, sono ben lontane da essere uno specchio della realtà, sono mutevoli, profondamente influenzate da fattori culturali, emotivi, fisici tanto che potremmo dire sfociano nel fantastico, nella dimensione incantata che stravolge il reale, rendendolo una sorta di incognita che si riduce, come dice Ghirri a “una piccola smagliatura sulla superficie delle cose, dei paesaggi che abitiamo e viviamo”. (Da “Niente di antico sotto il sole” in Paesaggio italiano).
massimocec ottobre 2020