Questa è la foto con cui intendo descrivere il mio rapporto con Pisa. È la fotografia del luogo che ogni mattina si apre di fronte a me quando vado a piedi al lavoro dopo aver percorso la prima metà del mio tragitto. Un lavoro come tanti altri che cerco di fare con scrupolo, senza particolare enfasi ma con la consapevolezza che rispetto a tanti altri lavori mi consente di non sentirmi marxianamente estraniato. Durante l’avvicinamento quotidiano al mio posto di lavoro, appena uscito dall’ombroso viale delle Piagge, appare davanti al mio sguardo questo, per me, splendido scenario che varia in continuazione tutte le mattine. La fotografia mi ha aiutato a cogliere questi piccoli mutamenti legati al variare della luce, alla presenza di nuvole che gettano la propria ombra sulle Alpi Apuane che si intravedono sullo sfondo, ai mutamenti dei riflessi che si disegnano nell’acqua del fiume, mi ha aiutato a cogliere il loro valore come quello del colore dei palazzi e delle geometrie nette della Chiesa di San Matteo.
Per un momento la vita quotidiana con il suo carico di indifferenza e di abitudinarietà cede il passo allo stupore, alla curiosità, al piacere. E ogni giorno avviene questo minuscolo miracolo. Il rapporto visivo con Pisa è il mio più forte legame con questo luogo.
Pisa è la città in cui ho studiato, la città che mi ha consentito di ascoltare, di conoscere e di dialogare con personaggi come Aldo Gargani, Nicola Badaloni, Remo Bodei, Giorgio Colli, Francesco Barone, Chiara Frugoni, Antonio Tabucchi, Adriano Prosperi, Alfonso Iacono, personaggi che non possono non plasmare, in modo involontario ma duraturo, in virtù del loro fascino culturale, il tuo modo di vedere il mondo. Grazie a loro ho incontrato i miei idoli culturali, primo fra tutti Wittgenstein, poi Musil, Roth, Woolf, Svevo, Pirandello, Montale, Gadda, Montaigne, Calvino, Malher, Occam, Eco. Infine i miei interessi: la filosofia del linguaggio, la filosofia della scienza, la letteratura, il teatro (indimenticabili sono le opere di Brecht viste al Teatro Verdi e in particolare un Galileo interpretato da Tino Buazzelli, un Aspettando Godot realizzato da non ricordo chi ma capace di trasmettere emotivamente il senso di smarrimento e di angoscia, di assurdo prodotto dall’incontro tra lo scorrere del tempo e la sua immobilità, e infine La gatta Cenerentola di Raffaele Simone con la matrigna interpretata da Peppe Barra), la musica classica assaporata grazie ai concerti della Normale e a quelli della Gioventù musicale. Solo più tardi ho scoperto la storia, in particolare la storia medievale, e, attraverso essa, l’arte e la pittura. Chiara Frugoni ha consentito con la sua passione per le immagini e le sue conoscenze del mondo e della cultura medievale, che avvenisse questo incontro, grazie al manifesto politico dell’affresco del Buongoverno e grazie alla predica del Trionfo della Morte del Camposanto di Pisa. Poi ancora il cinema, il neorealismo, i film americani e francesi degli anni Quaranta e Cinquanta, una scoperta da autodidatta realizzata attraverso i miei amici pisani, Sandro Marianelli e Simonetta Della Croce. Pisa infatti è stata la citta della mia formazione culturale ma anche alla città della mia formazione personale. Pisa è la città che mi ha permesso di incontrare amici come Claudio, Ovidio, Roberto, Antonella, Antonietta, Gioietta, Gabriele, Alessandro, Lucia e tanti altri, le amicizie degli anni in cui i rapporti diventano incancellabili, entrano a far parte di te, incidono sulla tua vita emotiva e sentimentale.
Considero però queste cose, pur importantissime per la mia vita, estranee al luogo in cui sono avvenute nel senso che non appartengono né a me né a Pisa, sono il frutto di una fortunata contingenza dovuto all’incontro tra persone che solo il caso ha fatto trovare in uno stesso luogo e in uno stesso tempo. Il rapporto per me più profondo con Pisa è quello visivo e la fotografia è lo strumento che oggi più mi aiuta a coltivare questa relazione. Amo guardare le fotografie del passato, dei luoghi, dei personaggi di cui ho sentito parlare, passare dalla lettura, dall’ascolto alle immagini per ritornare all’ascolto e alla lettura. Amo guardare i luoghi di Pisa fotografati nei più diversi momenti e dai più svariati punti di vista. Mi piace andare in giro con la macchina fotografica a cercare di catturare ciò che posso chiamare veramente mio, lo sguardo che consente di catturare quel particolare, quell’angolatura, quel luogo, quella situazione che la fotografia cattura e consente di rivedere, di riassaporare, di riassociare ad uno stato d’animo, ad un’emozione. Solo in questo senso posso parlare della mia città. Altrimenti non me la sento di dire che Pisa è la mia città perché non mi appartiene né io appartengo a lei. Non mi appartiene nel senso del possesso e non mi appartiene neppure nel senso dell’appartenenza, del sentirsi a casa propria. Il mio rapporto con Pisa è un rapporto godereccio, nel senso che godo della ricchezza visiva che questa città offre e sono consapevole che questa è solo una fortunata circostanza.
Non mi sento orgoglioso di essere pisano perché non vedo alcun mio merito in ciò. In questi mesi su un giornale locale è stato portato avanti una sorta di giochino proposto o suggerito dallo scrittore Marco Malvaldi, autore, oltre che di alcuni gialli di piacevole lettura, di una piccolo libretto che si presenta come una guida personale, non turistica, di Pisa, una guida che considero come una sorta di racconto per lettori non invasati dal sacro furore del turista per il quale esistono solo i grandi monumenti indicati dalla guida Touring e tutto ciò che l’industria del turismo impone. Malvaldi ha individuato le sue cinque ragioni e le indica in un’intervista al Tirreno:
«Il primo motivo in assoluto per cui andare orgogliosi della pisanità è che abbiamo la Piazza dei Miracoli che è la più bella del mondo ed è una cosa indiscutibile.
Il secondo motivo di orgoglio è il Pisa di Romeo perché sotto la presidenza di Romeo Anconetani c’era proprio da essere orgogliosi e non mi riferisco solo ai successi calcistici di quel periodo ma al fatto che sotto la sua guida si sono viste stelle nazionali ed internazionali rivaleggiare con i nostri campioni” (Ahimè non mi intendo di calcio né sono un appassionato di questo sport e quindi sono doppiamente indifferente a tale ragione).
Il terzo motivo di Malvaldi riguarda i “maestri”. «Forse non tutti hanno notato dice lo scrittore che una città così piccola come Pisa ha due maestri cioccolatai indiscutibili quali Paul De Bondt e Cecilia Tessieri della Amedei». Questo anche per un indifferente come me può essere una buona ragione perché sono golosissimo di cioccolato, in particolare di cioccolato fondente.
Il quarto motivo non poteva che essere la presenza dei grandi uomini di cultura e di scienza nella storia pisana. «C’è poco da dire, Pacinotti ha inventato la dinamo, la prima radio di Marconi fu messa a Pisa, Galileo non ha eguali ed ancora oggi università, Sant’Anna, Normale e Cnr dicono la loro a livello internazionale».
L’ultimo motivo riguarda la musica. «La musica, dice lo scrittore a Pisa, si fa davvero bella musica grazie ad Anima Mundi ed alla Normale».
Lo stesso giornale ha chiesto ad altri personaggi le ragioni per cui si sentono orgogliosi di essere pisani. Maria Chiara Carrozza, rettore della Scuola Superiore Sant’Anna ed ex ministro della Pubblica Istruzione, elenca, sempre al Tirreno, le sue ragioni: «Al primo posto c’è il sistema delle università e della ricerca. Università, Sant’Anna, Normale, Cnr, Infn, Virgo, rappresentano un patrimonio che la rendono unica. Al secondo posto il Duomo, i lungarni, Palazzo Blu ed il sistema museale. Segue l’ospedale di Cisanello, quindi l’aeroporto Galilei. L’aeroporto ha messo in fila – dice Carrozza – una serie di record per il traffico passeggeri. Infine, la posizione geografica. Pisa è vicino al mare, alle Alpi Apuane ed agli Appennini ed ha un clima mite».
I cinque motivi per andare orgogliosi di essere pisani del pianista Maurizio Baglini, un altro personaggio intervistato dal Tirreno, sono: Al primo posto c’è Franz Liszt. «Non tutti sanno, informa Baglini, che il grande pianista e compositore ha soggiornato più volte ed a lungo a Pisa precisamente all’Hotel Victoria e sulla spiaggia del Gombo ha composto la musica per uno dei tre sonetti del Petrarca». Al secondo posto il teatro Verdi per i suoi mille posti e al terzo il teatro Rossi. «Sarebbe bellissimo dice Baglini poter tornare a suonarci perché è un vero e proprio gioiello per la musica da camera visto che ha le giuste dimensioni». Al quarto posto, il pianista pone gli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta. «Nella nostra città è passato il meglio della lirica ed i melomani si ricorderanno di Tito Gobbi e di Arturo Michelangelo Benedetti». Infine, la posizione geografica. «Pisa è vicina al mare e alle montagne e ad un passo da Firenze e Lucca».
Infine i motivi del pugile pisano Dario Cichello, campione italiano mediomassimi nel 2007, sono:
1) Piazza dei Miracoli
2) I Grandi pisani (Prima di me a Pisa, è nato Galileo)
3) Pisa Repubblica Marinara (Abbiamo scorrazzato e guerreggiato per tutto il Mediterraneo)
4) La generosità (Pisa è piccola ma noi pisani abbiamo un gran cuore)
5) Pisa realizzatrice di sogni (Al Palazzetto dello sport, nella mia città sono diventato campione italiano dei mediomassimi)
Gran parte di questi motivi sono estranei al mio modo di vivere il rapporto con Pisa, un rapporto che si basa sulla percezione visiva non solo dei luoghi, dei palazzi, degli oggetti che gli architetti chiamano arredo urbano, ma anche sulla percezione visiva delle persone, delle relazioni, delle relazioni tra i luoghi, le piazze, gli edifici e le persone. Non mi sento orgoglioso perché a Pisa è nato Galileo o perché a Pisa c’è la Normale. Mi piace quello che vedo, che percepisco intorno a me e mi piace fotografarlo. La foto di quel minuscolo panorama che tutti i giorni mi si presenta davanti e tutti i giorni sono contento di incontrare con il mio sguardo, di scoprire cosa c’è di nuovo stamani credo riesca a descrivere il mio rapporto con Pisa. Certo tutto ciò che coloro che hanno partecipato al giochino proposto da Malvadi e dal Tirreno hanno segnalato non mi è indifferente. In particolare la musica, il piacere di vivere in una città in cui si sa che è presente un’intensa vita culturale. Ma non mi sento orgoglioso di ciò. Mi sento orgoglioso quando qualcosa mi fa venire in mente che in fondo sono un cittadino del mondo come tutti gli altri e che forse un po’ mi merito di essere riconosciuto come tale.
“Giunto a Fillide, ti compiaci d’osservare quanti ponti diversi uno dall’altro attraversano i canali: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati; quante varietà di finestre s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni; quante specie di pavimenti coprono il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrecciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. “Felice chi ha ogni giorno Fillide sotto gli occhi e non finisce mai di vedere le cose che contiene”, esclamai, col rimpianto di dover lasciare la città dopo averla solo sfiorata con lo sguardo.
Ti accade invece di fermarti a Fillide a passarvi il resto dei tuoi giorni. Presto la città sbiadisce ai tuoi occhi, si cancellano i rosoni, le statue sulle mensole, le cupole. Come tutti gli abitanti di Fillide, segui linee a zigzag da una via all’altra, distingui zone di sole e zone d’ombra, qua una porta, là una scala, una panca dove puoi posare il cesto, una cunetta dove il piede inciampa se non ci badi. Tutto il resto della città è invisibile.
Fillide è uno spazio in cui si tracciano percorsi tra punti sospesi nel vuoto, la via più breve per raggiungere la tenda di quel mercante evitando lo sportello di quel creditore. I tuoi passi rincorrono ciò che non si trova fuori degli occhi ma dentro, sepolto e cancellato: se tra due portici uno continua a sembrarti più gaio è perché è quello in cui passava trent’anni fa una ragazza dalle larghe maniche ricamante, oppure è solo perché riceveva luce a una cert’ora come quel portico, che non ricordo più dov’era.
Milioni di occhi s’alzano su finestre ponti capperi ed è come scorressero su una pagina bianca. Molte sono le città come Fillide che si sottraggono agli sguardi tranne che se le cogli di sorpresa.”
Italo Calvino, “Le città invisibili”, Mondadori, Milano, 1993.
Vorrei essere come colui che giunge a Fillide nonostante sia oramai da anni un abitante di Fillide, capace di cogliere di sorpresa anche ciò che tutti i giorni abbiamo sotto gli occhi.
febbraio 2012 massimocec
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