San Giuliano è il luogo dove mia nonna andava alle terme. La distanza dalla casa dove abitavamo, a Mezzana, una frazione di San Giuliano, era di pochi chilometri, ma andarla a trovare durante il suo soggiorno mi sembrava un viaggio vero e proprio tanta era l’organizzazione che richiedeva o almeno che i miei genitori lasciavano trasparire. E poi l’albergo dove mia nonna passava il suo mese di cure termali era per me una cosa strana, che non conoscevo.
San Giuliano era anche il paese delle cave vicino al luogo dove andavamo in bicicletta con i miei, mio padre, mio fratello e talvolta mia madre, in fila indiana, a prendere l’acqua da bere con dei borsoni pieni di bottiglie vuote attaccati al manubrio, in una sorgente lungo un fosso che costeggiava la strada, una sorgente gestita da un’anziana signora che raccoglieva l’acqua che sgorgava da una sorta di foro sotterraneo con una sorta di mestolo e la metteva nelle bottiglie che le porgevano in cambio di qualche spicciolo. Spesso capitava durante queste escursioni per l’approvvigionamento idrico di sentire una sirena. Allora dovevamo fermarci perché stava per scoppiare da qualche parte lungo il monte una mina. Subito dopo lo scoppio e il fragoroso rumore delle pietre che, staccate dal monte, cadevano nel “cortile” della cava, una seconda sirena ci segnalava che potevamo riprender la nostra pedalata. La cave erano questo, un suono, uno scoppio e talvolta qualche camion pieno di sassi che passava rasentandoci lungo la strada.
Dopo una certa età, intorno agli undici anni, San Giuliano è diventata la meta delle mie escursioni in bicicletta. Percorrevo solitarie strade di campagna fino ad arrivare lungo il monte e tentare le facili salite che portavano ad Asciano o a Agnano, con una appena celata illusione, soprattutto nel periodo dei grandi giri ciclistici estivi, di partecipare ad un evento sportivo che solo nella mia mente preadolescenziale aveva una certa possibilità di materializzarsi.
San Giuliano è il paese che ho riscoperto da adulto grazie a una serie di amicizie, in particolare a quella di Ovidio, che mi hanno fatto scoprire un luogo che guardavo ma non vedevo, un luogo che non conoscevo, un nodo di storie, memorie, relazioni, ricordi, aspettative, fughe, ritorni, permanenze volute, gradite, forzate, imposte, sognate. Lascio quindi alle parole di Ovidio il compito di accompagnare la presentazione delle fotografie su San Giuliano, parole per la Voce del Serchio.
” Mi riconosci, aria, tu piena ancora di luoghi un tempo miei?”. Rilke
“Posare i piedi sul medesimo suolo per tutta la vita può provocare un pericoloso equivoco: farci credere che la terra ci appartenga, come se essa non fosse in prestito, come invece tutto è in prestito nella vita”. Tabucchi
massimocec luglio 2021
Sangiulianese, pisano e un po’ giramondo
di Ovidio Della Croce
Qualche settimana fa La Voce del Serchio ha accolto una mia modesta proposta e ha chiesto ai suoi lettori: perché vale la pena vivere in queste zone? Pare strano, ma se ne parlo a voce mi torna meglio, invece trovo più difficilmente le parole scritte. Forse perché a San Giuliano ci sono nato e cresciuto, ho studiato e mi sono formato a Pisa, ma ho lavorato per vari anni in Lombardia, sono stato un bel po’ in Versilia e ora lavoro a Lucca. E poi perché mi piace stare qua, ma mi garba anche andare là. E quando sono là, è bello tornare qua. Quando in Lombardia vinsi a pieni voti il concorso per la scuola conobbi un momento di piccola e provvisoria fama come “il pisano”, ed ero fiero di essere chiamato così, anche se mi rendo conto che non c’è nessun merito per andare orgogliosi della pisanità. Certo Galileo Galilei, l’Università, l’Ospedale, l’aereoporto sono buoni motivi per andare orgogliosi di vivere da queste parti, ma penso che da soli non bastino a farti amare profondamente una terra.
Ora che il gioco è cominciato devo trovare le parole. Il mio rapporto col paesello è la piccola piazza che sta proprio sotto casa mia. Luogo di incontro tra persone e di scambio di battute. L’altro giorno, per esempio, ho incontrato Michel, un ragazzo di origine algerina che vive da ventitre anni a San Giuliano. Era in canottiera e gli ho fatto una domanda un po’ sciocca: “Non senti nostalgia dei tuoi posti?”. Risposta secca: “No, m’importa una bella sega, sono italiano e sto bene con gli italiani, basta rispettare le regole, se no una pedata ner culo e via”. Ci siamo salutati, poi mi sono girato e ho guardato la pelle liscia, lucente e scuretta delle sue spalle. Clic, mi è tornata in mente una fotografia in bianco e nero di quando ero piccolino; ecco neanche un anno, sono seduto su una coperta sul marciapiede di questa piazzetta davanti al negozio dei miei e ora Michel ci cammina lentamente sopra. Ho rivisto quel bambino che ero e mi sono chiesto se questa aria riconosce più quello che sono ora o più quello che ero tanto tempo fa. Purtroppo in questa piazza non posso più incontrare tanti amici e parenti che avevo allora. Le loro voci stanno nella mia piazzetta interna, un angolino dell’animo. Ma essere nato in questa casa che sta nel centro di San Giuliano e che i miei abitano dal 1921, mi fa meritare il titolo di sangiulianese doc. E mi piace sentirmelo dire.
E poi Pisa. Pisa è la città dove ho frequentato il Liceo Scientifico “Dini” e l’Università insieme a mio cugino Mauro Vento. Dove ho incontrato i miei professori e maestri: Paolo Cristofolini, Carlo Aberto Madrignani, Giampaolo Calchi Novati, Claudio Pavone, Antonio Tabucchi (che ho avuto l’enorme fortuna di frequentare almeno un po’, ma troppo tardi). Il movimento del Sessantotto con Adriano Sofri, Luciano Della Mea, Giuliano Foggi, Grazia Gimmelli, Carla Melazzini, Rina Gagliardi, Maurizio Iacono. Gli amici e compagni Gilberto Vento, Ezio Menzione, Guido Tonelli, Guido Cerbai, Luciano Turini. Questi i primi nomi che mi vengono in mente, ma tanti altri ancora che hanno lasciato un forte segno dentro di me. Perché Pisa è innanzitutto una “città di incroci”, del fiume col mare, di campagna e montagna, di arte e di cultura, un luogo dove è stato possibile, per un giovane studente quale ero, incontrare una quantità di persone e alcune donne che hanno lasciato un forte segno dentro di me. E tanti amici, un nome per tutti: Massimo Ceccanti che però ad agosto si trasferisce a Massa. Pisa è una città che lascia un forte segno visivo: l’Arno, San Paolo a Ripa d’Arno, la Scuola Normale, il Duomo riscoperto grazie a Sergio Costanzo, la torre pendente che quando vai all’estero ti rendi conto che è conosciuta dappertutto. Ma l’arte, la bellezza e la cultura da sole non bastano a legarti.
Ora che rileggo le parole che ho scritto mi accorgo che sono un nostalgico. Non posso farci niente. L’altra sera ero con Susanna a sentire il concerto dei Gatti Mezzi sulle Piagge al Centro SMS e ho incontrato mia figlia Laura che, come sempre, è in partenza, al prossimo compleanno le regalerò un magnifico cartello stradale con sopra scritto Tutte le direzioni. Ho salutato anche Lorenzo Marianelli, Stefania e qualche altro amico. Ho avuto nostalgia di tutti quelli che sono sparsi in qua e là. E così mi è presa la voglia di andare là e poi di tornare qua. Pensavo questo a un metro di distanza da Lorenzo Del Zoppo e dalla sua fidanzata e mi sono detto: “Forse è venuto in vespa”. Anch’io ho una vespa con cui da giovane, con Susanna, pisana verace incontrata a Parigi e giramondo più di me, andavo in giro per l’Europa. Per questo credo di meritarmi almeno un po’ anche il titolo di giramondo (ora non più in vespa) senza dimenticare di attaccare un bigliettino giallo sulla porta di casa nella piazzetta nel centro di San Giuliano con su scritto Torno subito.
di Ovidio Della Croce