La Liguria, in particolare la Liguria di Levante è una terra che mi affascina. L’immagine che ho di questa terra è l’immagine di una terra aspra, scabra, arida, una sfida continua per chi vi abita, riadattata per venire incontro alle esigenze dei turisti a cartolina. Rileggo volentieri le parole con le quali Calvino descrisse la Liguria nel 1945 sul Politecnico: “Dietro la Liguria dei cartelloni turistici, dietro alla Riviera del grandi alberghi, delle case da gioco, del turismo internazionale si estende dimenticata e sconosciuta la Liguria dei contadini”. Oggi dovremmo dire ciò che resta della Liguria dei contadini, tracce, indizi, terrazzamenti spesso abbandonati, case semidiroccate o trasformate in residenze estive, in “bed and breakfast” a disposizione dei vacanzieri.
Ancora Calvino “Diversa da tutte le campagne di pianura e di collina, la campagna ligure sembra, più che una campagna, una scala. Una scala di muri di pietre (i “maisgei”) e di strette terrazze coltivate (le “fasce”), una scala che comincia dal mare e sale su per le brulle alture fino alle montagne piemontesi: è la testimonianza di una lotta di secoli tra la una natura avara e un popolo laborioso e tenace quanto abbandonato e sfruttato. Non esiste in Liguria né latifondo né grande proprietà terriera: ogni famiglia coltiva da sé le poche “fasce” di sua proprietà.”
A Calvino si affianca Montale, la sua immagine della Liguria di Levante, di un paesaggio ridotto ai minimi termini del visibile, e non solo, ma anche dell’udibile, colto nella sua essenzialità:
“Rombando s’ingolfava dentro l’arcuata ripa
un mare pulsante, scavato da solchi,
crespato e fioccoso di spume;
di contro alla foce d’un torrente
che straboccava il flutto ingialliva
giravano al largo i grovigli dell’allighe
e tronchi d’alberi alla deriva”
da “Fine dell’infanzia”
“Digradano su noi pendici di base vigne, a piane,
quivi stornellano spigolatrici con voci disumane.
Oh la vendemmia estiva, la stortura nel corso delle stelle
e da queste in noi deriva uno stupore tinto di rimorso.”
da “Marezzo”
“Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe dei suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.”
da “Meriggiare pallido e assorto”
Un paesaggio dove domina il sole, l’olivo con le sue contorsioni, le viti basse che obbligano a enormi fatiche per la vendemmia, la roccia che si sfarina, la siccità, dove le vallate sono percorse da esili corsi d’acqua che però d’improvviso possono gonfiarsi e travolgere tutto quello che incontrano, con uno sviluppo tutto verticale, “una scala di muri e di pietre” come la definisce Calvino, “una scala che comincia dal mare e sale per le brulle alture” non adatta all’aratro ma solo alla zappa. Immagino un carattere dei contadini individualista, un po’ come quello dei mezzadri toscani, tarato sulla lotta contro le avversità. Con l’arrivo prima dell’unità d’Italia e poi del turismo alla verticalità del paesaggio si è sovrapposta l’orizzontalità delle vie di comunicazione, la ferrovia regia, l’Aurelia, l’autostrada, sostituendosi la mare come principale via di comunicazione. Gli insediamenti isolati che sempre Calvino descrive come luoghi “in cui le case si riversano una sull’altra come le scaglie di una pigna” con “vie strette e sormontate da archivolti” attrezzati soprattutto per la difesa dalle incursioni “come pronti a respingere un assedio”, accessibili solo dal mare o attraverso sconnesse mulattiere sono diventati centri commerciali, pieni di negozi, ristoranti, gelaterie. Il mare che era nello stesso tempo un pericolo e “un porto aperto verso il mondo” è oggi lo specchio per attirare turisti da ogni parte del mondo. Le barche non servono più ai pescatori ma a traportare da un luogo all’altro i vacanzieri che affollano le spiagge per stendere i loro corpi al sole. Tutto questo è invitabile. Ma mi piacerebbe però riuscire a trovare il modo di non perdere le tracce di quel passato, di quell’infanzia estiva montaliana che l’industria turistica cerca di trasformare in un oggetto vendibile accostando cartoline e poesia.
Con Maggiani si può esplorare questa Liguria morente camminando “per questa collina di fiordo, lago e laguna, valico da poggio a poggio, monto e chino le crose tra vigna e ulivo, pino e robinia, castagno e catalogna, e mi sento a casa mia, contadino in mezzo al mare su una nave di campagna”.