Fotografie di Ovidio Della Croce
Mi piacciono particolarmente le città della Padania, con le loro cattedrali sorvegliate dai leoni, le biciclette che girovagano per il centro cittadino libero dalla presenza ingombrante delle auto, i vicoli e le piazze con il selciato che dona loro un’aria elegante e, nello stesso tempo, familiare. Mi piacciono quelle trattorie dove si entra e non trovi l’anonimato dei moderni ristoranti alla moda, eleganti, con cibi studiati e inventati da rinomati chef, ma freddi, fatti per chi pensa che il lusso splendente o la velocità, entrambi portatori di anonimato, siano più accoglienti o più aderenti allo spirito essenziale del nostro modo di vivere del disordine pieno di memoria, di valori legati a idee, speranze, delusioni, lotte, vittorie, sconfitte. Condivido l’inno al tempo perso inteso come tempo per nutrire il corpo e lo spirito e non per alimentare la folle e distruttiva corsa alla crescita senza fine, all’accumulo di beni e denaro. Girovagare per queste strade e queste piazze tra biciclette, stupendi monumenti, soffermarsi a scrutare particolari insignificanti ma caricati di bellezza da parte di uno sguardo interessato e curioso, fermarsi a pranzare o a cenare nelle osterie del tempo perso per perdere tempo discutendo con amici vecchi e nuovi. Ma ciò che più mi attrae in queste foto sono i violini, immagini capaci di trasportare la fantasia nelle atmosfere create dal suono delle melodie della musica. Mi è difficile apprezzare la musica come puro suono senza pensare agli strumenti, agli esecutori, alla storia di quelle melodie. Suono, musicista e strumento, luogo in cui la musica prende vita sono un tutt’uno. Forse la mia incompetenza musicale sta dietro questa necessità di dare concretezza al suono musicale ma è il mio modo di apprezzare la musica e non ci posso far nulla.
Mi piacciono in particolare le foto di Ovidio che trasportano nella Cremona dei liutai, nella Cremona dagli Amati, degli Stradivari, degli inventori del violino, della musica barocca che fece del violino una delle sue voci principali. Mi piacciono perché rendono la musica non il regno del suono astratto ma il prodotto di un’attività umana, il prodotto della collaborazioni, della cooperazione sociale, del genio e del lavoro materiale, del compositore, dell’esecutore, dell’artigiano. Sono stati gli artigiani a inventare la famiglia dei violini, quattro corde, una cassa leggermente bombata, fianchi rientranti, fori di risonanza a “f”, manico senza tasti, terminante con una sorta di ricciolo sul quale sono montati le chiavi per accordare, ponticello regolabile e tendicorde, a perfezionare gli strumenti, a raccogliere le risorse della tradizione e a trasformarle tecnicamente per arricchire le possibilità espressive del suono. Sono stati quindi questi artigiani a determinare le forme dei loro violini e di conseguenza a disegnare la loro voce lavorando per rendere più piatta la cassa, più profonde le curve interne, a cercare vernici più adatte fino ad arrivare a quella che oggi consideriamo la forma classica del violino, la forma in grado di produrre quella voce che ha consentito di comporre buona parte della musica dei secoli successivi. Il violino ha quindi una sua storia. Solo in Italia tra il Cinquecento e il Seicento, nell’epoca della sua fanciullezza, era considerato il principe degli strumenti. In altri paesi il suo suono era utilizzato solo per la danza, come sorta di ornamento. Curt Sachs nella sua Storia degli strumenti musicali riporta l’opinione di Thomas Mace, un compositore, cantante, suonatore di viola inglese di epoca barocca, che ritiene che si possa aggiungere dei violini ai propri strumenti “onde averli alla mano per ogni occasione di gioia straordinaria o gaio ritrovarsi: mai usarli però fuori di queste condizioni”. La storia invece ha assegnato alla voce del violino un ruolo e un posto diverso nella musica, l’ha reso forse, per la sua versatilità, lo strumento più vicino alle possibilità e espressive della voce umana accanto al pianoforte. Il suo uso è diventato trasversale, uscendo dai confini della musica classica per inserirsi nel pop-rock, nel jazz, nelle musica etnica dei popoli di tutto il mondo occidentale, dalla musica dei gitani, a quella klezmer, alla musica celtica, fino a rivaleggiare in India con il sitar per quanto riguarda la priorità del ruolo melodico. Si dice che i violini siano come le persone, non ne trovi due eguali perché le loro differenze sfuggono a qualsiasi classificazione. Il mio orecchio purtroppo non è in grado di percepire tali differenze. Mi fido di quello che dicono gli esperti e amo crederci perché mi fa amare di più il suono di questo strumento. Non credo a chi dice che la musica sia una forma superiore di conoscenza, una via d’accesso a forme di realtà inaccessibili attraverso la parola o attraverso le immagini. Credo che la musica sia semplicemente un modo di elaborare il suono, di dare forma al suono e ricavarne qualcosa cui attribuiamo il valore di bello, senza poter dire una volta per tutte che cosa sia questa bellezza. Suoni belli sono sia le melodie di Vivaldi, gli ultimi quartetti di Beethoven, ma anche il concerto per violino di Alban Berg con i suoi suoni strazianti ma nello stesso tempo affascinanti e nella produzione dei suoni belli l’aspetto materiale, la fisicità del suono ha un ruolo fondamentale così come la materia ce l’ha in una statua o il colore in un dipinto.
massimocec ottobre 2021
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