Kudelka: l’improvvisazione

Il Caffè dei Maledetti Fotografi  

Spazio LABottega, Pietrasanta

Interviste dal vivo di Enrico Ratto

Io non cerco di comprendere. Per me la cosa più bella è svegliarmi, uscire e andare in giro a guardare. Guardare tutto. Senza che nessuno stia lì a dirmi: Devi guardare questo o quello. Io guardo tutto e cerco di trovare ciò che mi interessa, perché, all’inizio, non so cosa potrà interessarmi. Mi succede anche di fotografare dei soggetti che altri troverebbero stupidi, ma che, personalmente, mi permettono di mettermi in gioco. Henri (Cartier Bresson) dice che lui si prepara prima di incontrare qualcuno o di visitare un paese. Io no: io cerco di reagire a quello che si presenta. Poi tornerò, magari ogni anno, magari per dieci anni di seguito, e così finirò per comprendere.

Ci sono delle cose che mi piacciono molto, ma che non pratico. La musica l’ho sempre un po’ praticata e mi piacerebbe ascoltarne più spesso, ma non ne ho la possibilità, per mancanza di tempo e di spazio.  Quando ero ragazzo leggevo molto, durante i miei studi un po’ meno, da quando ho lasciato la Cecoslovacchia non leggo quasi più. Sempre per la stessa ragione: perché non ho un posto per me. Quando viaggio, non so dove dormirò e penso a dove coricarmi solo quando è il momento di aprire il mio sacco a pelo. È una regola che mi sono data. Mi sono detto che devo saper dormire bene dovunque, perché il sonno è importante. In estate spesso dormo fuori, smetto di lavorare quando non c’è più luce e ricomincio il mattino presto. Un giorno vivrò diversamente e allora ricomincerò a leggere. Non sento questo modo di vivere come un sacrificio: per me sarebbe un sacrificio vivere altrimenti. Per quanto riguarda i miei punti di riferimento… non so quali sono.

Non so cosa sia importante per le persone che guardano le mie foto. Quello che è importante per me, è il fatto di farle. Io lavoro sempre, ma non ci sono molte foto che trovo veramente buone. Non mi sento veramente un buon fotografo. Penso che chiunque, se lavorasse come lavoro io, potrebbe ottenere gli stessi risultati.
Ma io non lavoro per provare il mio talento. Io fotografo quasi tutti i giorni, tranne quando fa troppo freddo per viaggiare a modo mio, come in questo momento. Qualche volta faccio delle buone cose, altre volte no, ma penso che col tempo qualcosa verrà fuori dal mio lavoro: non ho angosce in questo senso. Faccio anche molte foto sulla mia vita, come quelle all’inizio del tascabile: i piedi, l’orologio.

Quando sono stanco mi corico e se ho voglia di fotografare e non c’è nessuno attorno a me, fotografo il mio piede. Non sono grandi foto: certi le detestano. Ma ho sempre fotografato i luoghi in cui ho dormito, gli interni in cui mi sono trovato. È una regola che mi sono data, per non dimenticare queste cose. Un giorno, forse, farò un libro con nient’altro che queste piccole foto. Questo irriterà molte persone che pensano a me come al fotografo degli Zingari e non vogliono vedermi diversamente. Ma non mi preoccupo di ciò che la gente pensa. Io non cerco di cambiare la gente, e neanche il mondo.