La scoperta del mare

-Vedessi com’è chiaro là fuori.

Michele sorrise. Poi si schiarì la voce e scrutando ansioso la faccia di Paulin disse:

-Volete dire che non c’è più la tempesta?

-La tempesta? C’è un cielo pulito che sembra uno specchio come da un po’ di tempo non si vedeva.

Michele fu sorpreso da quelle parole. Distolse lo sguardo da suo padre e divenne pensoso, come se stesse rimuginando qualcosa. Tutt’assieme si trovava di fronte ad una situazione inattesa che sembrava risolvere le sue fantasie. Ma com’era possibile se fino a poche ore prima aveva rischiato di morirci là fuori? Che fosse soltanto un sogno dovuto alla febbre che se lo mangiava? Tutto si era avverato in modo così repentino che non aveva avuto neanche il tempo di prepararsi all’idea. Perché lui invece l’aveva pensato in modo diverso quell’avvenimento, più graduale, da potersi affrontare con piena coscienza di sé. Ma ora quel chiarore che veniva da fuori e suo padre che diceva quelle cose erano fatti reali che non si potevano negare.

-Padre, si vede anche il mare? – disse con voce priva di emozione, come se si aspettasse una risposta scontata.

-A dire la verità io non ci ho fatto caso, ma credo bene. Perché se non si vede in una giornata così, sicuro che non si vede mai.

I figli di Valentin si precipitarono fuori. Michele socchiuse gli occhi di nuovo. Si sentiva molto debole e la testa non aveva ancora smesso di fargli male. A suo padre aveva detto che non si sentiva più la febbre, ma era stata soltanto una bugia per rassicurarlo. Perché invece il sangue gli pulsava frenetico dappertutto e sembrava quasi che gli saltasse via da un momento all’altro. No, non era proprio quello il momento per coronare il suo sogno.

I ragazzi rientrarono di corsa, ma nessuno osava parlare. Toccò a Paulin attaccare.

-Su diteglielo voi com’è là fuori.

Allora il più grande disse tutto di filato:

-Il mare si vede chiaro come l’acqua dello rian e c’è anche un bastimento.

Il mare! Quanto lo aveva sognato e ora che ce l’aveva li a portata di mano quasi quasi aveva paura anche a sentirlo nominare. Michele era dilaniato, come se due forze contrapposte agissero dentro di lui. Da una parte il desiderio struggente di vederlo che aveva dominato tutte le sue fantasie, dall’altra la paura angosciosa che l’oggetto del desiderio non corrispondesse a ciò che lui aveva immaginato. Se ad essi si aggiungeva la condizione particolare in cui stava per vivere quell’evento, Michele avrebbe preferito senz’altro fuggire e rimandare tutto quanto ad un altro momento, meglio se lontano. Perché il suo desiderio era stato troppo bello per rischiarlo ora in quel modo. Ma ormai non poteva più tirarsi indietro: doveva farsi coraggio e uscire nella luce di quel mattino se voleva porre fine al suo assillo.

-Padre, voglio andare a vedere il mare.

L’uomo, che stava già armeggiando vicino ai suoi ferri, lasciò perdere tutto e gli si avvicinò.

-Te la senti?

-Si, voglio andare.

Paulin riconobbe in suo figlio quella determinazione che un giorno l’avrebbe portato lontano. E per un attimo ebbe netta la sensazione che fosse già iniziato il distacco. Lo aiutò ad alzarsi e, dopo avergli tenuto il pastrano perché potesse infilarselo meglio, gli buttò sulle spalle anche una coperta.

-C’è un’aria che taglia a fettine. È meglio che tu ti copra bene.

Michele aveva creduto di sentirsi peggio. E invece le gambe erano ben salde e non gli facevano più male. Se non fosse stato per quel dolore alla testa…. Uscì sull’aia tenendosi stretta la coperta. Subito un brivido gelido gli percorse la schiena. La tramontana soffiava compatta giù per il monte. Michele restò abbagliato dal chiarore e ci volle un po’ prima che riuscisse a mettere a fuoco le immagini. Poi lentamente cominciò a distinguere i contorni del paesaggio. Erano di una nitidezza straordinaria, a tal punto che veniva voglia di allungare un braccio per toccarli. E nel profilo delle creste già infiammate dal sole pareva addirittura vedere la granatura cristallina della coltre ghiacciata. Tutt’attorno, lungo i pendii, sembrava che una gigantesca colata di neve stesse scivolando in fondo alla valle dove muggiva un torrente che si faceva strada tra le pareti di una gola, pe sbucare poi lontano, dove il bianco cominciava a chiazzar! di verde e riappariva la terra. Michele ebbe un soprassalto in fondo, oltre l’orizzonte della montagna degradante, g parve di vedere come un pezzo di cielo caduto: era la striscia azzurro chiaro del mare. Michele restò incantato. Non aveva mai visto un azzurro così tenue e intenso nello stesso tempo un colore così ammaliante. Sembrava qualcosa di vivo strizzando gli occhi si riusciva a cogliervi un accenno c movimento. Quasi senza accorgersene, Michele si mise a annusare l’aria, come se volesse sentirne anche l’odore Vincenzo gli aveva detto che era inconfondibile e si poteva distinguere tra mille. E quella nave che s’intravedeva? S riconoscevano la ciminiera e il pontile, persino gli obli Chissà dove andava, forse lontano, al di là del mare, i America dove era stato Giuàn. Come invidiava quei marinai! Michele chiuse gli occhi e gli sembrò che la terra crollasse sotto i suoi piedi e che lui fosse su quel bastimento guardasse in su verso i monti in segno d’addio. E il cuore g ondeggiò per davvero. Ormai non aveva più dubbi: laggiù s quella distesa inquieta, c’era la sua felicità. E nessuno sarebbe riuscito a impedirgli un giorno di raggiungerla.

Gianni Repetto, Careghé, Ovada – Accademia Urbense, 1995

a cura di massimocec agosto 2020