Come se emergesse dalla notte del Tempo, il vecchio, del quale non si scorge il volto, legge un giornale. Un filo di luce colpisce il suo turbante giallo, ma non pare infastidirlo. È l’unico punto di luce, una sorta di raggio laser che illumina in un cerchio ristretto solo il turbante e lascia tutto il resto nell’ombra. Come farà a leggere nel buio? E il giornale che sta leggendo gli reca le notizie della nostra attualità o di quella che fu la sua, molti anni fa? Starà leggendo le notizie che vogliono le Borse di oggi, e cioè che quella indiana è un’economia emergente, la terza dopo gli Stati Uniti e la Cina, o non starà invece leggendo i problemi che la resistenza passiva del Mahatma Gandhi sta provocando all’Inghilterra? E forse immerso in una sua dimensione temporale, quella di un’india che vuole diventare indipendente dal dominio inglese?
Perché ci viene il sospetto che ci sia qualcosa di asincrono che questa foto rivela. E non tanto che il vecchio stia leggendo un vecchio giornale raccolto per caso fra le cianfrusaglie del luogo in cui si trova, ma che stia leggendo un giornale che ha comprato al mattino, un giornale a lui contemporaneo. E che questo scatto fotografico abbia operato uno strano sortilegio: scattato nel buio, seguendo solo l’ispirazione di un raggio luminoso, guidato solo dall’intuizione e dal caso, abbia «trovato» una figura umana che a occhio nudo non si può vedere, perché non esiste più nel nostro spazio, ma di cui è rimasto lo spirito, lo spettro: un uomo che visse negli anni Quaranta che sta leggendo un giornale degli anni Quaranta. E quando il diaframma in un istante si richiuderà, il sortilegio non esisterà più, l’uomo sarà risucchiato nel buio del suo Tempo ma ne resterà la figura, perché l’occhio fotografico, per magia, l’ha catturata.
Perché è vero quello che ha detto Remo Ceserani: l’obiettivo fotografico è proprio l’occhio della Medusa.
ANTONIO TABUCCHI
Da Fabrizio Sbrana, India: sacralità del quotidiano, Priuli & Verlucca, 2016, pagine 6 e 7.
Odellac luglio 2020