Anche quest’anno ci abbiamo provato, ci dispiace. Eravamo pronti per la giornata con Tabucchi che il Comune di Vecchiano organizza da otto anni insieme prima al “gruppo di amici di Tabucchi” e ora con l’Associazione che è stata formata l’anno scorso proprio da quel gruppo. Per la difficile situazione in Italia e nel mondo, la giornata con Tabucchi a marzo non ci sarà. Era stata pensata con i soliti tre momenti di incontro con gli studenti e con i lettori. Al centro c’era il fotoracconto della vita di Antonio Tabucchi fatto da Maria José de Lancastre, sua moglie che lui chiamava Zé, che nel corso del tempo ha tenuto il filo dei suoi scritti costruendo degli archivi. Avevamo pensato di portare nel Teatro Olimpia un po’ di Saudade de Lisboa con delle gigantografie di Fabrizio Sbrana, un po’ di poesia e musica portoghese con il concerto del Trio Tejo e con riflessioni letture e commenti di Riccardo Greco.
Pensiamo però che quest’anno possiamo fare qualcosa di diverso, ricordare Tabucchi a distanza, scrivendo un ricordo o una frase di un suo libro o due o tre cose che amiamo di lui. Queste sono quelle scritte dai soci fondatori. Aspettiamo le vostre. Mettiamo insieme un flusso di ricordi, frasi, pensieri come un racconto polifonico, un po’ strampalato ma sincero, a lui dedicato. Siamo fisicamente distanti, ma facciamo finta di essere tutti nello stesso luogo, ognuno si immagini dove, con un bicchiere di vino in mano, e parliamo a ruota libera dei suoi libri, delle dediche che ci ha scritto a una presentazione, di lui se qualcuno ha avuto il privilegio di conoscerlo.
Lui bambino che mi leggeva ad alta voce libri per ragazzi. Poi lasciava che me li portassi a casa per leggerli per conto mio. Il giorno dopo mi chiedeva: lo hai letto? Sì, ma non tutto, rispondevo. Allora fammi il riassunto di quello che hai letto, mi diceva con uno sguardo volpino dietro i suoi occhialini dorati, e se non lo sai fare non te li do più. In questo modo credo di essere stato costretto a leggere la maggior parte dei libri da ragazzi di quei tempi e di aver preso così la mia passione per la lettura unendo il dilettevole all’utile.
Tra i tanti, ricordo di Antonio la sua prima telefonata. Ci eravamo conosciuti il giorno prima, di pomeriggio. Era settembre, il mese in cui l’uva è matura e il fico pende, e infatti fu sotto l’ombra odorosa di un fico che ci incontrammo, per poi andare a bere un bicchiere di vino in una casa del popolo con di là da un fosso i campi e in fondo la proda di una vigna carica di uva matura. Parlammo di libri e, anche – forse perché sentivamo appetito – di cibi. Ci ripromettemmo di rivederci ma io non mi aspettavo la sua telefonata, la mattina dopo, né tantomeno il suo invito a pranzo, a casa sua a Vecchiano. Ricordo come fosse ora la sua voce, tra uno sbuffo e l’altro di fumo, pormi questa domanda: come ti piace di più il coniglio?, arrosto con le patate o in umido con le olive?
Antonio aveva già in mente la fotografia della copertina di Notturno Indiano nella riedizione greca del 2010. La doveva solo trovare. Qualcuno sicuramente l’aveva già scattata. Gli avevo portato circa quattrocento piccole stampe sintesi dei vari reportage in India. Le passava una ad una, spesso commentandole. Metti da parte questa, questa è bella ma è troppo turistica, quest’uomo che fa le abluzioni nel Gange sembra portare a sé l’acqua, ma è una foto orizzontale e il taglio verticale ne annulla l’effetto. Ecco va bene questa. La donna che entra da una porta, il colpo di luce sulla veste, non sappiamo dove va.
Tutti i suoi libri, certo. Il primo che ho letto: Il gioco del rovescio. Le cicale che frinivano, frinivano nei pomeriggi d’estate. Quando i suoi personaggi fanno una sosta per mangiare. E poi i suoi occhiali dorati.
Nel 1988 gli organizzatori del premio nazionale di poesia Acireale decisero di dedicare alla narrativa il premio di quell’anno, e di sostituire i giurati con i responsabili delle terze pagine di diversi quotidiani. Ad Acireale c’ero anch’io e, nelle discussioni – che erano pubbliche, e vi assistevano soprattutto studenti – sostenni con vigore Tabucchi, di cui era appena uscita l’edizione accresciuta di Il gioco del rovescio perché, come aveva sostenuto spiegando la nuova edizione, un giorno si era accorto che una certa cosa che era “così” era invece anche in un altro modo. E fui talmente convincente da far convergere i voti degli altri giurati, che decisero quindi all’unanimità di far vincere Antonio.
Il ricordo che in questo momento specifico mi viene incontro è una frase, una sentenza, un chiasmo: “La filosofia sembra che si occupi solo della verità, ma forse dice solo fantasie, e la letteratura sembra che si occupi solo di fantasie, ma forse dice la verità”.
Ricordo con nostalgia quella sua dimensione internazionale vissuta con nonchalance, che era poi una visione del mondo, cioè di come dovrebbero sentirsi i concittadini di questa terra, invece di arroccarsi stupidamente in campanilismi e fazioni. La sua autonomia intellettuale, mai erosa dal conformismo dilagante e dalla piaggeria ormai sdoganata. Ricordo il filologo rigoroso, che alla sera, dopo un pomeriggio di lezioni alla facoltà di lingue, conservando quell’aria trasognata e lo sguardo indagatore con cui spiegava Il libro dell’inquietudine, si ritrovava con i colleghi e noi giovani studenti all’osteria per parlare di tutto. E così, davanti a un po’ di vino e talvolta a una chitarra scordata, cantavamo gli stornelli popolari di Caterina Bueno. Poi al giorno dopo noi eravamo ancora rimbambiti e Antonio esordiva invece con un lucido pensiero sulla scrittura e l’oralità forse ispirato anche dalla Storia del Grillo e della Formica.
O poeta é um fingidor, finge tão completamente, que chega a fingir que é dor, a dor que deveras sente. Pessoa… Pessoa, ma chi era costui? Però, caspita! I suoi versi sono molto belli e fanno riflettere, ma anche la musicalità del testo non è niente male, anzi. Una lingua così non si può non imparare, ma chi mai potrà insegnarmela? Beh, una persona sicuramente la troverò nei prossimi giorni che potrà aiutarmi. Antonio non lo conosco, so solo che insegna il portoghese all’università, ma sono sicuro che saprà darmi dei suggerimenti. Lo andrò a trovare a casa sua, a Vecchiano.
Suono il campanello e aspetto un bel po’ di tempo, con in testa mille pensieri e mille preoccupazioni, che qualcuno mi apra la porta, io così piccolo e lui un gigante della letteratura. Un grande Scrittore. E così penso: “Antonio” non arriva più. E poi penso: mica posso chiamarlo “Antonio”, è un grande Scrittore, forse il più grande Scrittore del ventesimo secolo. Ma chi me l’ha fatto fare di disturbare il Tabucchi? Si apre il cancellino e vedo un signore alto, distinto, con due occhi chiari, direi azzurri come il cielo di Lisbona, con uno sguardo molto penetrante, con dei baffi ben curati, vestito con un pantalone di cotone e una polo grigia con un coccodrillo all’altezza del cuore. Ho un’irrefrenabile voglia di chiedergli se l’ha comprata con il coccodrillo già stampato o se l’ha appiccicato lui successivamente. Mi saluta con cortesia e mi invita amabilmente ad entrare in casa. La conversazione avvenuta tra noi a tutt’oggi rimane un segreto, perché i sogni non si possono raccontare.
Perché forse è stato tutto un sogno, i versi del Pessoa, la casa di Vecchiano, la polo grigia, e poi perché Antonio non aveva gli occhi azzurri, ma d’altronde si sa, anche lo scrittore é um fingidor, finge tão completamente…
Ricordo l’ultima immagine, il suo sorriso dolce con il quale sulla porta abbracciandomi mi disse: ci sentiamo presto. Era il maggio dell’anno precedente, dopo l’incontro a Migliarino per una serata in suo omaggio nell’ambito di una programmazione di eventi culturali, in cui ci lesse l’Elogio della Letteratura. Aveva un bastone per sorreggersi e aveva l’aria scocciata per quell’ausilio al quale non poteva rinunciare.
Avevamo da dirci molte cose, era già qualche anno che non ci frequentavamo più, avevo bisogno di percorrere la mia vita e anche lui l’aveva capito ma mi aspettava.
Il suo coraggio. Quando si affaccia al balcone di casa sua a Lisbona e ci regala un sorriso. “Finestre: ciò di cui abbiamo bisogno, mi disse una volta un vecchio saggio in un paese lontano. La vastità del reale è incomprensibile, per capirlo bisogna rinchiuderlo in un rettangolo”. E ora che quanto sta accadendo effettivamente risulta incomprensibile e doloroso abbiamo bisogno di coraggio e una boccata d’aria alla finestra ci è vitale.
A cura dei soci fondatori dell’Associazione Culturale Antonio Tabucchi
In accordo con il Comune di Vecchiano a settembre 2020, mese in cui Tabucchi è nato, è stato realizzato un video di presentazione della mostra realizzata nello Spazio culturale Antonio Tabucchi a Vecchiano.
Odellac luglio 2020