“Parole dipinte. Domani. Presto o tardi”, un’installazione di Alessandro Tofanelli in memoria dell’opera di Antonio Tabucchi, a nove anni dalla sua scomparsa. Una staffetta di letture dei racconti de “Il gioco del rovescio”, a quarant’anni dalla sua prima uscita. Per evadere dalla clausura bisogna andare oltre il tempo. Con l’arte, i quadri e i libri.
Passiamo questi giorni in una socialità sospesa. Facciamo diverse cose, ma a distanza, usando il computer, il tablet, lo smartphone. Dopo un anno ora è subentrata la stanchezza. Una stanchezza che non è soltanto fisica, è una stanchezza mentale. Scusate se parlo un po’ di me. Certi pomeriggi mi prende anche un po’ di sonnolenza. Chiudo le palpebre e penso. Aspetto di essere vaccinato, intanto resisto e mi dico: ancora due mesi, poi arriveranno l’estate e i vaccini e saremo più al sicuro. Andare in vacanza mi sembra a portata di mano, “se potessi andare in vacanza ci andrei volentieri” (dice Draghi). Per tirare avanti faccio finta di niente e sogno anche un viaggetto vicino, senza certificazione. A volte sogno a occhi aperti e mi illudo che quando finirà sarà festa. Mi immagino che sarà come il nostro dopoguerra, ci troveremo tutti per strada. Abbracci e baci al primo o alla prima che capita e tanti saluti. Ma intanto stiamo al presente.
Ah, il presente, la dura realtà dei fatti. È tornata l’ora legale e cambia il sistema dei colori. Le giornate si allungano e dovremo stare più in casa. Ho sempre avuto simpatia per Tom Sawer. Il ragazzino protagonista del romanzo di Mark Twain, non ho mai dimenticato il suo odio per i lunedì, quando ricomincia un’altra settimana. Tom, come Pinocchio, vorrebbe cancellare tutti i giorni feriali e lasciare soltanto quelli di festa. Da lunedì 29 marzo siamo in zona rossa e d’istinto mi verrebbe voglia di fare come Tom e cancellare questo lunedì. Oddio, non ero preparato a questa sorpresa della zona rossa. Be’, cosa posso dire, facciamo come Pinocchio quando diventa un bambino per bene e, santa pazienza, se serpeggia il virus non dobbiamo fare come se fossimo in zona gialla. Lo so, non è proprio quella cosa che ti dà una botta di vita, ma che ci posso fare, dopo più di un anno di pandemia abbiamo capito che certi semplici comportamenti mettono meno a rischio la nostra vita. Lo so che è poco, ma è necessario. Lo so, la “recrudescenza pandemica” in Toscana chiama in causa i ritardi della Politica ben individuati dal Paolo Malacarne, Primario di Anestesia e Rianimazione a Pisa, lui lo dice in modo molto chiaro: “il depotenziamento della Sanità Territoriale e delle Cure Primarie… non ha avvicinato la Sanità ai cittadini”. Poi dice che bisogna invertire la tendenza a depotenziare la Sanità Pubblica “ritornando alla idea che è il SSN che eroga le prestazioni previste dai livelli essenziali di assistenza (i ‘L.E.A.’), mentre il cosiddetto ‘2° pilastro’, cioè welfare aziendale, assicurazioni e casse mutue, ecc. eroga prestazioni non comprese nei L.E.A. ed è quindi non ‘sostitutivo’ del SSN bensì complementare.” (La sanità toscana, carenze e prospettive, il grandevetro, 27 marzo 2021) Chiaro il concetto? Sanità universale per tutti.
Intanto, nel presente, mi affido a qualche libro e a un po’ di ginnastica. Ahi, questo dolore che corre lungo la schiena. Con il brufen questa infiammazione mi passerebbe prima, mi pare di sentirla la voce del mio amico dottore: non fare sforzi, prendi per due o tre giorni il brufen, stai a riposo e vedrai che ti passa. Invece di prendere le bustine di brufen faccio ginnastica. Lo spazio in casa è quello che è. Da solo, sdraiato sul tappetino, impugno un bastone, estendo le mani oltre o sopra la testa, torno al petto e così trenta volte. Mi accuccio, prendo con le mani le ginocchia, le avvicino al petto, dondolo un pochino per massaggiarmi la schiena e sentire un po’ di sollievo. Sai che soddisfazione. E poi qualche esercizio in piedi, faccio ginnastica in casa in una versione ridotta e modesta, consentita ai pensionati un po’ vecchietti come me e con il mal di schiena. Quasi niente a che vedere con le attività, il ritmo e qualche battuta del vecchio gruppo di ginnastica a cui partecipavo poco più di un anno fa. Che nostalgia, sembra un secolo, e lo è.
Dopo la ginnastica un libro di Antonio Tabucchi tirato fuori dalla libreria mi difende dal bombardamento di notizie sul coronavirus e le sue varianti e mi aiuta a vincere la stanchezza e l’isolamento. È un piccolo libro fatto di otto racconti pubblicato per la prima volta nel 1981, fu ben accolto dalla critica, ricevette ottime recensioni in cui il plauso fu unanime, l’anno dopo vinse il premio Luigi Russo. È stato il primo titolo di Tabucchi a essere tradotto in portoghese, grazie a Maria José de Lancastre e Maria Emília Marques Mano, con la prefazione di José Cardoso Pires (Il gioco del rovescio, Vega, 1983).
Ecco, nel marzo del mio compleanno mi sono fatto un regalo e ho estratto dalla biblioteca interamente dedicata a Tabucchi, l’unica più ordinata nell’affollato disordine dei libri che sono nel mio studio sopra la piazza di San Giuliano, Il gioco del rovescio, che l’autore definì, nella dedica che gli chiesi quasi vent’anni dopo dalla prima pubblicazione, “un reperto archeologico”. Chi ha conosciuto Tabucchi sa che amava scherzare. Ma l’aspetto del gioco in questi racconti è secondario, se mai, come avverte Tabucchi, “è piuttosto la vita che si prende gioco di noi.”
Quando mi è capitato di lavorare alla Scuola Leopardi di Vecchiano in un laboratorio letterario su Tabucchi e il viaggio una giovanissima studentessa con la videocamera in mano mi chiese: “Qual è il libro di Tabucchi che preferisce?” Cominciai col dire che sono molti i libri di Tabucchi che mi piacciono, direi tutti. Ma lei incalzò: “Me ne dica solo uno.” Allora le risposi: “Il gioco del rovescio, perché lo considero un po’ come il vessillo della narrativa di Tabucchi, quello con cui si afferma come uno dei più grandi scrittori di racconti della nostra tradizione letteraria.”
Ho cominciato a leggere Tabucchi da questo libro, un libro di “svolta” nella sua ricerca e rimasi incantato da quella lettura tanto da non abbandonare più questo autore. Certo è che mai avrei immaginato che l’avrei conosciuto e tanto meno, senza meritarmelo, che avrei introdotto, nel maggio 2011, una sua conferenza a Migliarino in Elogio della letteratura, addirittura che l’avrei “insegnato” o per lo meno avrei provato a “insegnare” un aspetto della sua narrativa, che avrei contribuito a fondare l’associazione culturale che porta il suo nome e che ha sede nella sua casa di Vecchiano. Leggere e rileggere le sue opere per me ancora oggi è una scoperta continua e sempre un grande piacere.
Nello scaffale centrale della mia biblioteca tabucchiana Il gioco del rovescio è il terzo titolo, dopo Piazza d’Italia e Il piccolo naviglio. All’inizio, nel 1975, il primo libro di Tabucchi era stato Piazza d’Italia, una “favola popolare in tre tempi, un epilogo e un’appendice”, una specie di epica moderna che si snoda lungo un secolo di storia italiana. La storia è ambientata in un piccolo borgo toscano, non nominato esplicitamente, ma che è sicuramente Vecchiano, con gli oppressi da una parte e gli oppressori dall’altra. Poi, nel 1978, esce Il piccolo naviglio, “un secondo romanzo, ed i secondi romanzi sono sempre difficile da scriversi”, dice Tabucchi, che lo considera un po’ come “un esercizio di scrittura”, un “romanzo di apprendistato”, che l’autore ha messo un po’ da parte al punto che la seconda edizione è del 2011. È una storia abbastanza politica dove “Capitan Sesto si mette a percorrere a ritroso tutta la sua rotta” e cerca di rimettere ordine ai propri ricordi che vanno dall’Ottocento al Novecento. L’ambientazione è ancora toscana, a Carrara, città mai nominata ma riconoscibile. Diciamo che Il piccolo naviglio naviga in acque conosciute, mentre Il gioco del rovescio solca altri mari che porteranno il nostro concittadino vecchianese a raggiungere altissimi livelli nella letteratura europea e anche oltre.
Con Il gioco del rovescio Tabucchi passa dal romanzo al racconto, dilata i confini dal luogo in cui è nato all’Europa e al mondo, i personaggi non hanno più nomi italiani, ci sono le canzoni, ci sono voci che si intrecciano, ci sono altre culture e atmosfere, c’è un diverso modo di raccontare fatto di dialoghi sospesi, di vicende di cui non si saprà mai la vera conclusione, c’è il rovescio delle cose.
Ho letto Il gioco del rovescio almeno tre volte, rileggerlo in questo momento mi fa compiere un viaggio a ritroso. La prima volta lo lessi da giovane supplente, quando viaggiavo in Valtellina e facevo l’insegnante precario e fu una folgorazione, soprattutto per Lettera da Casablanca. La seconda volta a Lisbona quando ho alloggiato in un piccolo appartamento in Rua das Chagas, guarda caso, e lo usai come guida per “un itinerario fernandino”. La terza in occasione di un incontro informale sui personaggi femminili nelle opere di Tabucchi. Rileggerlo ora per me penso sia un’evasione dalla clausura. Nel racconto che apre la raccolta mi rifugio nel museo del Prado a guardare Las Meninas di Velázquez, poi volo a Lisbona e mi ritrovo nella casa di Maria do Carmo in Rua das Chagas. Nel racconto che dà il titolo alla raccolta incontro per la prima volta nell’opera di Tabucchi la saudade, che “non è una parola, è una categoria dello spirito”, e Fernando Pessoa. Fernando non è un gerundio, era il titolo originario, poi sostituito con Voci, del breve racconto che chiude la raccolta. In mezzo atri sei racconti, un piccolo, straordinario libro.
Come ogni anno dal 2012, intorno al 25 marzo, data in cui muore a Lisbona, il Comune di Vecchiano ci invita al ricordo di Antonio Tabucchi. Quest’anno lo ha fatto con “Parole dipinte. Domani. Presto o tardi”, un’installazione di Alessandro Tofanelli in memoria della sua opera. Il legame tra Tabucchi e la pittura, come quello con la fotografia (indimenticabile l’intervento di Remo Ceserani a Migliarino nel maggio 2012) sono temi affascinanti, l’immagine pittorica e fotografica in diversi casi costituisce la struttura portante della narrativa di Tabucchi. In particolare, il dipinto di Tofanelli Presto o tardi ha ispirato a Tabucchi il racconto Una finestra sull’ignoto pubblicato nel libro Racconti con figure, 2011. Le ultime volte che ho incontrato Tabucchi a Migliarino era da poco uscito questo libro, c’era una certa confidenza, ma io lo guardavo stupito di averlo davanti, ebbi però modo di dirgli che avevo letto il primo dei racconti, Tanti saluti, e che mi era piaciuto. Lui stette zitto, poi la breve conversazione virò su altri libri che avevo letto io e che lo incuriosivano.
Proprio durante l’inaugurazione mi è salito il dolore acuto alla schiena. Ci siamo chiesti cosa avrebbe detto Tabucchi in questa situazione. Domanda senza risposta. Cosa vi posso dire? In quel momento lì mi è piaciuto tutto. Il dipinto di Tofanelli, sì, mi piace, mi piace molto. I pannelli sotto con il racconto di Tabucchi a sinistra, il quadro centrale di Tofanelli che l’ha ispirato, le note critiche di Silvano Ambrogi. Piano piano mi sono piegato sulle ginocchia e ho letto la citazione di Brecht: “Se vuoi essere universale parla del tuo paese.” E poi ho riletto la frase quasi alla fine di Una finestra sull’ignoto: “Pensò a com’era strano guardare la realtà che ci circonda come se fosse a portata di mano e pensò che niente è a portata di mano, soprattutto quello che vedi, e che a volte ciò che è accanto è più lontano di quello che pensi.”
A quarant’anni di distanza da Il gioco del rovescio l’Associazione Culturale Antonio Tabucchi, di cui faccio parte, in collaborazione con il Comune di Vecchiano, organizza una staffetta di letture a partire proprio dal 25 marzo con l’attore Antonio Cederna (una lettura semplice, sensibile, un saluto affettuoso e una piccola scenografia geniale), per proseguire a cadenza mensile e concludersi il 24 settembre, data in cui Tabucchi nasce a Pisa. Due date capitate casualmente di domenica. I pomeriggi del sabato, uno dei racconti de Il gioco del rovescio emotivamente più intensi e a tratti perturbante, ci narra di una perdita, di una grande assenza, del vuoto provocato da una mancanza. Ora sta a noi colmare quel vuoto. Tanti saluti.
Tabucchi e ginnastica
FOTO: FABRIZIO SBRANA
odellac marzo 2021 (da La voce del Serchio 28 marzo 2021)