Fotografia e filosofia

Contrariamente a quanto molti studiosi e critici hanno affermato, abbarbicandosi ancora a una certa concezione hegeliana dell’arte (ossia al fatto che Hegel accennasse al tendere dell’arte del nostro – in realtà del “suo” – tempo verso la filosofia), ritengo che proprio l’opposto di quanto Hegel postulava stia verificandosi: ossia dopo un apparente tendere verso la filosofia di certe forme d’arte concettuale, di musica aleatoria, dodecafonica (forme artistiche in cui l’elemento concettuale, iperrazionale cercava di avere la meglio) oggi si assiste invece a una tendenza opposta: a una defilosofizzazione dell’arte, a una desemantizzazione della stessa e quindi a un recupero di quei valori magici, mitici, persino terapeutici […] che sono stati ignorati per troppo tempo mentre meritano di riprendere il loro giusto ruolo.

Gillo Dorfles, L’intervallo perduto, Milano, Skira 2006, p.170

Ma di fronte a questa concezione del rapporto fotografia – filosofia proposto da Luigi Ghirri che pone al centro della sua ricerca “il guardare”, ossia la capacità al contempo razionale ed emotiva di decifrare i dati raccolti attraverso la percezione, trasformandoli in pensiero visivo.

Una risposta forse è rintracciabile in Ghirri, L’opera aperta, 1984:

“La fotografia penso che sia un formidabile linguaggio visivo per poter incrementare questo desiderio di infinito che è in ognuno di noi. Come ho detto prima, una grande avventura del mondo del pensiero e dello sguardo, un grande giocattolo magico che riesce a coniugare miracolosamente la nostra adulta consapevolezza ed il fiabesco mondo dell’infanzia… Borges racconta di un pittore che volendo dipingere il mondo, comincia a fare quadri con laghi, monti, barche, animali, volti, oggetti. Alla fine della vita, mettendo insieme tutti questi quadri e disegni si accorge che questo immenso mosaico costituiva il suo volto. L’idea di partenza del mio progetto-opera fotografica può paragonarsi a questo racconto. L’intenzione cioè di trovare una cifra, una struttura per ogni singola immagine, ma che nell’insieme ne determini un’altra. Un sottile filo che leghi autobiografia ed esterno.”