Siamo debitori verso noi stessi di un atto con cui riabilitare la coerenza che abbiamo distrutto. Abbiamo suddiviso il nostro mondo in tanti campi separati autonomi; ognuno di questi campi lo abbiamo affidato a specialisti, abbiamo chiuso l’operaio in fabbrica, lo studioso in biblioteca, lo scienziato in laboratorio; abbiamo coperto tutto con le categorie della “necessità per il progresso” e poi ci lamentiamo delle sofferenze che stiamo supportando, dell’alienazione, della solitudine, dell’emarginazione cui ci costringe una società che funziona grazie all’alta specializzazione.
Siamo debitori verso noi stessi di un atto che ristabilisca l’unità, che ricollochi il pensiero accanto all’azione, la tecnologia ancorata alla vita, il piacere frequentatore della saggezza, la letteratura amante della politica e della scienza.
In ogni individuo tutto è presente, tutto si accavalla e si interseca come bisogno, stimolo, ma mancano a lui e nozioni e linguaggi, gli oggetti per soddisfare i suoi bisogni tutto è stato scomposto tramite artifici; si sono create linguaggi specializzati, funzioni separate. Ma di fronte a ciò rimane, incrollabilmente, intatto e unico il fulcro, il centro di riferimento, l’originario punto di partenza di arrivo di tutti questi movimenti, di queste strutture, di queste dinamiche: il singolo soggetto. Rimane lì a sfidare la nostra società e le sue schizofreniche tendenze, rimane lì lacerato dalle funi che gli vogliono strappare le membra, gli organi per farne cumuli di membra e di organi uguali tra loro, più facilmente conservabili, più facilmente addestrati, senza scopo, senza quell’unità fondamentale che l’individuo in cui ciascun organo svolge una funzione necessaria per il funzionamento del tutto.
Il nostro pensiero vita è una sorta di vestito di Arlecchino, fatto di una giustapposizione incredibile e imprevedibile di cose diverse.
massimocec 1980
Postilla settembre 2022
È facile denunciare la frantumazione del sapere e la conseguente alienazione ma prova a dirmi in che cosa potrebbe consistere questo atto in grado di risarcire il debito verso noi stessi. Come può un singolo individuo dominare i campi del sapere a livello di sviluppo in cui sono arrivati oggi. Il mito dell’unità del sapere è un mito che riguarda un mondo che non esiste più, un mondo in cui era sufficiente un nucleo chiaro di idee per sentirsi padrone della realtà dal punto di vista della conoscenza almeno dei principi essenziali. Il modello del mondo delle idee e dell’iperuranio di Platone è inutilizzabile oggi così come la presenza di un Dio creatore signore dell’universo o la genealogia dello spirito che procede attraverso contraddizioni come è narrata ne La fenomenologia dello spirito di Hegel o un sistema come è quello descritto nell’Enciclopedia sempre di Hegel. E allora in che cosa potrebbe consistere questo atto riparatore, non nella fuga verso soluzioni falsamente rassicuranti basate sull’autoritarismo della tradizione o della politica come forse oggi prediligono purtroppo molti ex cittadini e futuri sudditi dei paesi avanzati. Neppure nella fuga verso improbabili percorsi individuali suggeriti da filosofie orientaleggianti, da forme di spiritualità che promettono l’impossibile spesso scambiando la terapia con la conoscenza del mondo, introducendo enti immateriali sotto forma di fumose energie che dovrebbero scaturire da cammini spirituali spesso eteroguidati da poco credibili “maestri” o da pratiche cariche di misticismo. Forse l’unico atto sarebbe riconoscere la natura collettiva e cooperativa del sapere e della società, ricostituire l’unità non come elemento che appartiene al soggetto ma alla comunità, all’interno di una prospettiva che non demolisce l’individuo ma valorizza il suo apporto tramite un dialogo e un confronto continuo non eliminabili da alcuna prospettiva conciliatoria né verso la dimensione esterna né verso quella interna.