Se dovessi definirmi

Non amo le autodefinizioni, ma se dovessi definirmi mi definirei come un erede della tradizione culturale liberale e democratica, come un cultore dell’individualismo borghese corretto dalle pressanti e concrete richieste di giustizia, di equità, di presenza di chances per tutti proposte dal socialismo. Un liberale, un democratico, un individualista che non trova risposta alle sue domande nella cultura liberale del passato, che sente in crisi i sui valori, ma che non vede nel socialismo e nel marxismo un’alternativa valida, ma solo uno stimolo pressante e soprattutto non vede alternative concrete.

Per una definizione completa però dovrei anche mostrare il rovescio di quella sopra indicata, dovrei definirmi un socialista punzonato dalle idee e dai valori del liberalismo e della democrazia. Se dovessi incarnare tutto ciò in un’immagine avrei bisogno non di una tela e di un pennello o di un una macchina fotografica che producono una sorta di spazio sicuro a due dimensioni, ma di uno spazio composto da decine di specchi riflettenti in cui l’oggetto sparisce e in cui riemergono solo i margini, immagini di immagini, l’una diversa dall’altra ma ciascuna legata all’altra in una sorta di caleidoscopio in continuo mantenimento.


Sentimenti

Non possiamo mai sapere da quale sentimento saremo dominati domani, né quale persona o quale evento susciterà quel sentimento. Siamo in balia del caos, possiamo solo vivere dentro il caos accettandolo e cercando di comprendere di seguire ciò che non possiamo né conoscere né dominare. Il mondo dei valori è indifferente al mondo dei sentimenti. La cultura non può cancellare il sentimento che appare inopportuno e che ci porta all’infelicità. Dobbiamo imparare a vivere nell’infelicità cercando angoli di serenità. L’angolo di serenità può essere tutto: la compagnia di un bambino, lo sguardo di una donna, un bel libro da sfogliare, la vicinanza del mare in certi suoi momenti quando non è preso d’assedio folle impazzite, una camminata in montagna, immersione nella folla folla della città o la solitudine, il silenzio delle cime, la scoperta di una bella melodia, lo sguardo attratto da un quadro o da una fotografia. La ricerca di ideali supremi, la lotta per la loro realizzazione non conducono alla felicità ma all’isteria, al fanatismo, alla cecità verso il reale e l’esistenza.

POSTILLA 2021

MI chiedo fino a che punto i sentimenti, le emozioni siano indipendenti dai valori e dalla cultura. Veramente siamo in balia dei sentimenti? Anche in questo caso forse siamo in presenza di un dialogo, di una tensione che costituisce l’anima della nostra esistenza. Ma forse è solo la differenza di età che ci fa dire le cose che diciamo ed è giusto che tale differenza rimanga. Forse semplicemente ad una certa età non siamo più in grado di vivere sentimenti talmente travolgenti da aver bisogno di rifugiarsi negli angoli di serenità.


Siamo debitori verso noi stessi

Siamo debitori verso noi stessi di un atto con cui riabilitare la coerenza che abbiamo distrutto. Abbiamo suddiviso il nostro mondo in tanti campi separati autonomi; ognuno di questi campi lo abbiamo affidato a specialisti, abbiamo chiuso l’operaio in fabbrica, lo studioso in biblioteca, lo scienziato in laboratorio; abbiamo coperto tutto con le categorie della “necessità per il progresso” e poi ci lamentiamo delle sofferenze che stiamo supportando, dell’alienazione, della solitudine, dell’emarginazione cui ci costringe una società che funziona grazie all’alta specializzazione.

Siamo debitori verso noi stessi di un atto che ristabilisca l’unità, che ricollochi il pensiero accanto all’azione, la tecnologia ancorata alla vita, il piacere frequentatore della saggezza, la letteratura amante della politica e della scienza.

In ogni individuo tutto è presente, tutto si accavalla e si interseca come bisogno, stimolo, ma mancano a lui e nozioni e linguaggi, gli oggetti per soddisfare i suoi bisogni tutto è stato scomposto tramite artifici; si sono create linguaggi specializzati, funzioni separate. Ma di fronte a ciò rimane, incrollabilmente, intatto e unico il fulcro, il centro di riferimento, l’originario punto di partenza di arrivo di tutti questi movimenti, di queste strutture, di queste dinamiche: il singolo soggetto. Rimane lì a sfidare la nostra società e le sue schizofreniche tendenze, rimane lì lacerato dalle funi che gli vogliono strappare le membra, gli organi per farne cumuli di membra e di organi uguali tra loro, più facilmente conservabili, più facilmente addestrati, senza scopo, senza quell’unità fondamentale che l’individuo in cui ciascun organo svolge una funzione necessaria per il funzionamento del tutto.

Il nostro pensiero vita è una sorta di vestito di Arlecchino, fatto di una giustapposizione incredibile e imprevedibile di cose diverse.

massimocec 1980

Postilla settembre 2022

È facile denunciare la frantumazione del sapere e la conseguente alienazione ma prova a dirmi in che cosa potrebbe consistere questo atto in grado di risarcire il debito verso noi stessi. Come può un singolo individuo dominare i campi del sapere a livello di sviluppo in cui sono arrivati oggi. Il mito dell’unità del sapere è un mito che riguarda un mondo che non esiste più, un mondo in cui era sufficiente un nucleo chiaro di idee per sentirsi padrone della realtà dal punto di vista della conoscenza almeno dei principi essenziali. Il modello del mondo delle idee e dell’iperuranio di Platone è inutilizzabile oggi così come la presenza di un Dio creatore signore dell’universo o la genealogia dello spirito che procede attraverso contraddizioni come è narrata ne La fenomenologia dello spirito di Hegel o un sistema come è quello descritto nell’Enciclopedia sempre di Hegel. E allora in che cosa potrebbe consistere questo atto riparatore, non nella fuga verso soluzioni falsamente rassicuranti basate sull’autoritarismo della tradizione o della politica come forse oggi prediligono purtroppo molti ex cittadini e futuri sudditi dei paesi avanzati. Neppure nella fuga verso improbabili percorsi individuali suggeriti da filosofie orientaleggianti, da forme di spiritualità che promettono l’impossibile spesso scambiando la terapia con la conoscenza del mondo, introducendo enti immateriali sotto forma di fumose energie che dovrebbero scaturire da cammini spirituali spesso eteroguidati da poco credibili “maestri” o da pratiche cariche di misticismo. Forse l’unico atto sarebbe riconoscere la natura collettiva e cooperativa del sapere e della società, ricostituire l’unità non come elemento che appartiene al soggetto ma alla comunità, all’interno di una prospettiva che non demolisce l’individuo ma valorizza il suo apporto tramite un dialogo e un confronto continuo non eliminabili da alcuna prospettiva conciliatoria né verso la dimensione esterna né verso quella interna.


Stupore

Sono intontito dallo stupore. Sto scoprendo che tutto ciò che avevo ritenuto certo, indubitabile, solido in realtà è incerto e labile. Sto scivolando nel magma fluido dell’incertezza assoluta. Una volta vedevo delle verità laddove ora non so neppure cosa cercare. Vedevo negli adulti, negli insegnanti, negli uomini che occupano “posizioni”, persone in cui avere fiducia. Vedevo nella cultura una base certa che avrebbe potuto consentire di possedere e dominare la realtà; mi sembrava impossibile vivere senza cultura e senza sapere. Tutto ciò oggi vacilla in un continuo rimescolarsi di ruoli e di valori. Devo trovare una strada per uscire da questo magma. Non credo più a niente oltre lo spazio di un giorno, di un’ora, di un minuto. Ho scoperto che le cose persistono e hanno un valore anche se messe a testa all’ingiù. Che possiamo vivere senza cultura e non sentirci esclusi o umiliati, anzi. Che si può non aver fiducia nella verità, nella certezza ed essere razionali, scrupolosi, onesti. Devo ricostruire un ordine oltre turbine, un ordine che comprende il turbine come proprio elemento.

1980

POSTILLA NOVEMBRE 2021

Leggo che senti di aver bisogno di ordine. Ma che cos’è l’ordine?

Il fisico Guido Tonelli, parlando della genesi dell’universo, spiega che il nostro universo, quello che chiamiamo ordine spazio-temporale, è il frutto di una fluttuazione quantistica del vuoto che ha scatenato l’inflazione cosmica e che ha dato vita al Big Bang. Il nostro universo ordinato nasce dal vuoto che non è il nulla, ma una sorta di caos, costituito da un magma caratterizzato da infinite e infinitesime fluttuazioni che si richiudono rapidamente, che io vedo come una sorta di pentola che bolle. Il nostro ordine spazio-temporale è immerso nel caos ed è il frutto di una fluttuazione si è espansa ad una velocità spaventosa in pochissimo tempo assumendo dimensioni enormi e dando origine sia allo spazio tempo in cui siamo immersi sia all’energia e alla materia che ci circondano e che consideriamo, a torto, eterne e solide componenti della realtà. La fisica, quindi, grazie alle sue teorie crea un ordine di secondo livello, quello della spiegazione che include il caos e l’ordine. Certo l’ordine della spiegazione della fisica forse è diverso dall’ordine che vorremmo, dall’ordine desiderato che trapela dalle immagini teleologiche teologiche che l’uomo si è costruito. Ma è un ordine anche quello della fisica, un’attribuzione di senso che coniuga ordine e disordine. La fisica è il frutto di un nostro bisogno, il bisogno di attribuire senso. Lo facciamo attraverso forme diverse di spiegazione, da quella narrativa quella paradigmatica, come dice Bruner. E l’ordine così creato è un ordine di secondo livello come quello che forse cerchi dopo aver scoperto il disordine che caratterizza la vita.

Sempre Guido Tonelli ha scritto un libro intitolato La nascita imperfetta delle cose. Noi dobbiamo convivere con l’imperfezione, anzi dobbiamo essere consapevoli che l’imperfezione non è un errore, un incidente di percorso ma, come dice Telmo Pievani, l’imperfezione è connaturata al processo evolutivo ed è bene che ci sia. Imperfezione e caos ci circondano, ma questo non vuol dire che siamo dominati dal caso, così come non siamo dominati dal determinismo delle leggi di natura. Aspiriamo o speriamo, o meglio ancora abbiamo sperato di vivere in un mondo ordinato che tende alla perfezione e invece abbiamo scoperto che non è così. Come dovremo imparare a convivere con questo terribile virus, il covid, che sta di nuovo dilagando, così dovremo imparare a convivere con il disordine sapendo però che abbiamo la capacità di tracciare nel disordine un sentiero che non conduce in un luogo da cui poter osservare tutto come se fosse un orologio, ma è il tuo sentiero, il frutto della fatica di vivere in un mondo in cui ordine e disordine, senso e caos, caso e norme convivono. È un po’ come un gioco basato sulle scatole cinesi. Dal disordine origina l’ordine ed entrambi vengono racchiusi in un altro livello di ordine, quello della conoscenza, della costruzione di senso che racchiude il disordine e l’ordine, un livello di ordine che non è del mondo. È un ordine che noi proiettiamo sul mondo, che ci appartiene come nostra costruzione, nostra immagine del mondo. Il mondo è indifferente rispetto a questo livello di ordine. Siamo noi che abbiamo bisogno di questo livello, ne abbiamo bisogno per poter vivere, per poter dialogare con il mondo senza subirlo passivamente. Il tuo stupore può trovare in questo ordine sia una risposta sia gli stimoli per rinnovarsi, perché lo stupore è necessario per vivere.


Un bel film western o un giallo

Che cosa separa il prodotto di valore dal prodotto che non vale niente? Non il contenuto né la forma. Un film western, un giallo possono essere ben fatti rispetto allo scopo e perciò sono bei film. La letteratura di evasione altrettanto valida di quella impegnata quando è ben fatta. Diversi sono gli scopi, diversi sono i metri per misurare il valore del prodotto. Fra loro i prodotti di categorie diverse sono incommensurabili. L’evasione, il riposo, il piacere, l’impegno, l’ansia, la ricerca rappresentano fini non eliminabili ma solo giustapponibili e prodotti studiati per soddisfare tali bisogni vanno giudicati in relazione allo scopo. La vita è un fluire di momenti eterogenei e i prodotti, gli oggetti che servono a vivere non possono che essere diversi. Ogni paradigma è arbitrario se non è strutturato regolato da uno scopo. Leggere Pinocchio, Alice nel paese delle meraviglie, vedere un bel film western, un film di intreccio, un giallo non sono attività da riprovare, ma momenti di una ricerca fondamentale, la ricerca del piacere, dello star bene; solo se tale ricerca approda ad oggetti limitati, se la soddisfazione è esclusivamente legata ad un’unica serie di oggetti, allora tale attività diventa negativa, come diventa negativo se con tale attività si cerca il distacco non momentaneo dalla realtà.
Anche sul piano formativo dobbiamo adottare criteri basati sugli scopi. Gli aspetti repressivi non sono da considerarsi di per sé negativi. Uno degli errori della moderna pedagogia “puerocentrica” e della filosofia “negativa” è stato quello di aver sopravvalutato il ruolo dell’oggetto, dell’istituzione e di aver sottovalutato il soggetto e la sua capacità interpretativa, di scelta, di selezione. Il soggetto è in grado di capire lo scopo di un atto repressivo e quando tale atto eccede rispetto allo scopo. Non sempre il soggetto ha bisogno di un’ulteriore protezione come quella fornita dalla eliminazione dell’atto repressivo così come non sempre ha bisogno di una guida eterodiretta che inibisce le sue capacità di scelta. I bambini non vengono istupiditi dalla televisione o della pubblicità perché sono in grado di scegliere ciò che di un messaggio interessa loro o li soddisfa. Talvolta è utile riporre la morale nel cassetto delle cose inutili per lasciare spazio all’avventura e alla scoperta e nello stesso tempo talvolta è dannoso creare protezioni inutili quando è necessario intervenire con atti repressivi.

massimocec 1980

 

Postilla settembre 2022

Dietro le tue idee, che condivido, c’è però il rischio del relativismo. Quando si ammette che i valori non sono confrontabili il rischio è quello di pensare che la società sia costituita da tante isole e che non si possa navigare da un’isola all’altra. Occorre mettere in relazione ciascun mondo di valori con una dimensione universale ben sapendo che tale dimensione non ha un fondamento né scientifico, né logico, né filosofico, né epistemologico. Il giusnaturalismo pensava che i diritti universali dell’uomo fossero garantiti dalla nascita di ciascun essere umano, i genetisti pensano ad un fondamento basato sulla nozione di razza umana unica. Non basta sapere che esiste una razza umana unica per riconoscere a tutti i diritti fondamentali. In realtà i valori universali sono stati riconosciuti all’interno di un processo di socializzazione che ha comportato lotte, scontri, vittime, stragi, genocidi. Lo stesso è accaduto per altri valori quali la democrazia, l’eguaglianza, la libertà, la solidarietà. Il rischio quindi è quello di fornire strumenti per coloro che difendono ad oltranza l’identità e con essa la versione totalitaria della libertà. L’unico fondamento dell’universalità è etico e quando si parla dell’etica si tira in ballo il bene; ma io posso sempre domandarmi, con Georg Edward Moore, se ciò che riconosco come bene sia bene. Non ti sto fornendo una risposta né sto dicendo che non esiste una risposta, sto solo dicendo che quando si accetta la relatività, soprattutto dei valori, è necessario introdurre un’ulteriore variabile, quella della dimensione universale e della confrontabilità, una variabile che apre a nuove domande e produce una tensione che non possiamo e non dobbiamo né occultare né sottovalutare.


Una linea sospesa

Se dovessi definire oggi un aspetto della cultura che abbia un valore particolare e direi che ciò che ha tale valore non è descrivibile facilmente riconoscibile, ma assomiglia ad una linea indefinita, sospesa nel vuoto, in continuo movimento; non saprei darne una definizione più precisa né o indicare i fini o gli scopi di tale linea. Penso soltanto che ad essa però bisogna agganciarsi e seguirla come si seguono e compagni di cordata nella nebbia. Non abbiamo altra possibilità.