Carlo Delli e la fotografia di paesaggio

Carlo Delli

Ascoltare Carlo  Delli mentre manda le sue diapositive è un piacere, parla bene, con ordine, con pochi dettagli tecnici, ma con molta passione. Quando lo incontriamo al Teatro del Popolo di Migliarino sono passati due mesi esatti dalla pubblicazione del libro “Verso la foce del Serchio. C’è un posto che uno sente suo”, Delli ne tiene una copia in mano, guarda incuriosito il libretto con i suoi occhialini tondi e lo mette insieme ai suoi tre libri fotografici “Details of Wonder. Paesaggi e particolari tra Utah e Arizona”, “Monte Pisano, paesaggi e natura tra Lucca e Pisa” e “Creazioni”, i primi due sono esauriti, ne sono rimaste solo pochissime copie in vendita per collezionisti. Gianni Purromuto del circolo fotografico “Le dune” fotografa la sala affollata, la serata comincia e riparte il tentativo di esprimere, questa volta con la fotografia, una relazione diattaccamento col territorio in cui si vive.

“Ho la fama di essere un girellone, ma la maggior parte delle mie fotografie sono di questi posti, il Monte Pisano e i Monti dell’oltre Serchio, che poi non sono monti per altezza, ma appaiono tali perché danno sulla pianura”. Prende “Details of Wonder. Paesaggi e particolari tra Utah e Arizona” e “Monte Pisano”, li mostra e dice sorridendo: “Per fare le foto del Grand Canyon ci ho messo quaranta giorni, per fotografare il Monte Pisano ci ho messo sette anni, ci andavo due o tre volte alla settimana”. La sua filosofia di lavoro la espone in poche frasi, all’inizio dell’incontro, parla di conoscenza accurata del territorio e dice che bisogna ritornare negli stessi posti: “Per fare bei paesaggi bisogna alzarsi molto presto la mattina”. Sulla tecnica taglia corto: “Le cose più importanti non si possono insegnare: utilizzate il cavalletto, per me è una necessità, è fondamentale per la profondità di campo. Posare la macchina sul cavalletto è importante per vedere le cose, basta un minimo di tecnica, basta l’abc della fotografia, è abbastanza facile per creare infinite possibilità”. Dice di stare attenti all’inquadratura: “Con un piccolo spostamento si hanno effetti diversi”.

Parte la proiezione. Le prime immagini sono del canyon, le rocce incise e il fotografo che ne cerca i segni, sono foto essenziali, la loro nettezza mi fa venire in mente l’origine greca del termine foto-grafia, luce e scrittura, Delli disegna con la macchina fotografica, ci mette tempo, molta pazienza e cerca: “Osate, non abbiate paura, andate nei posti più eclatanti e nelle vostre fotografie metteteci amore e passione”. Salto brusco di paesaggio, ecco le immagini di documento e di narrazione del Monte Pisano, colpisce la foto di copertina del libro: “Boschi sopra Molina di Quosa, d’inverno, un castagneto abbandonato che dà un’aria irreale, ogni giudizio personale è lecito, date il vostro diverso da quello degli altri”. Non si direbbe che è Molina di Quosa, risulta difficile credere che si tratta di una foto scattata a due passi da casa nostra, come quelle del Parco di San Rossore. Le fotografie di Delli sono il prodotto massimo della pazienza, della passione e dell’amore per il territorio. Lui è lì, in quel preciso momento in cui riesce a inquadrare i castagni scheletrici avvolti da una luce che un momento dopo è svanita. Quando guardi una sua foto non puoi fare a meno di essere trascinato dentro quell’atmosfera e ogni scatto fa parte di un percorso, di un cammino, sono belle foto perché c’è lui dentro e ci siamo in qualche maniera entrati anche noi che siamo seduti qui, abbiamo appena cenato, siamo animali pesanti e ci sentiamo un po’ stanchi.

Foto di Carlo Delli: la Valdiserchio

Scorrono poi le immagini del Monte Serra da cui si vedono il porto di Livorno e la Corsica, ecco la Gorgona ripresa da sopra la Verruca, colpisce una foto di vent’anni fa del Lago di Massaciuccoli con le ninfee, dice: “Foto documentaria, ora le ninfee non ci sono più”. Per questo certe foto dove Delli coltiva un suo rapporto quasi fisico col territorio potrebbero diventare dei manifesti ambientalisti. Vediamo le foto del Serchio a Ripafratta in orizzontale e in verticale, poi a Pontasserchio, “Verso la foce del Serchio, bellissima perché cambia sempre,
fantastica col profilo delle Apuane dietro. Il mare disegna sulla spiaggia a San Rossore”. Interessanti le fotografie che documentano la natura carsica del monti di Vecchiano e Delli spinge a proseguire la sua indagine sulle cave che si è interrotta: “È morto il compagno che mi proteggeva e senza di lui mi alzo malvolentieri”. Chissà se la fascia nera che Delli tiene sulla testa non sia un segno di lutto per la morte del suo cane, non sarà così ma per un attimo l’ho pensato.

Mi rimane difficilissimo isolare la foto che mi è piaciuta più di tutte in questa proiezione, di sicuro mi è piaciuto aver visto che “di giorno in giorno i luoghi cambiano”, Delli parla delle foto scattate all’alba, di come le classiche foto di natura restano documento e si fanno narrative e mentre passano le immagini del Monte Verruca con la torre di Caprona, la pianura presa da sopra Molina di Quosa e gli oliveti si ferma a dire: “Occhio per andare oltre la prima apparenza”.

Le persone, a occhi aperti, a fine proiezione restano in un primo momento in silenzio, forse appare un po’ sconveniente rompere quel clima incantato che le sue immagini hanno creato. Ma poi c’è sempre qualcuno che non vuole sprecare un’occasione di dialogo con un fotografo premiato in tutto il mondo e, mentre fioccano domande, non riesco a capire se l’upupa contro la roccia che abbiamo visto nell’ultima immagine è sfumata o è rimasta nella sala e ora è lei che vede noi. Colgo soltanto la domanda della pittrice Daniela Sandoni che gli chiede quando è scattata la sua passione per la fotografia. Ecco la risposta di Delli: “Ho iniziato perché studiavo troppo Medicina e sognavo budella. Ero stressato per i miei studi intensi e dall’inizio del lavoro come medico. Allora cercai un’attività che facesse respirare la mente. Mia nonna mi racconta che fin da piccolo giocavo con gli insetti e allora rispolverai la mia antica passione per l’entomologia. Uno dei libri che più mi ha influenzato è stato “Ciondolino” di Vamba (l’autore di Gian Burrasca), dove si raccontano, anche con realismo scientifico, le avventure di un bambino trasformato in formica. Ho cominciato così a studiare gli insetti e a fotografare la Natura”. Un bambino diventato fotografo o un bambino nato fotografo? In ogni caso, un fotografo che ci stupisce.

Così noi, felici e contenti di aver passato più di due ore con un fotografo del nostro territorio che ci ha raccontato cosa c’è dietro le sue immagini, ce ne torniamo come tante formichine nelle strade notturne della Valdiserchio e la immaginiamo dorata come nella foto di Delli.

odellac agosto 2017