Pisa, domenica 18 marzo, ospita il 63° Congresso nazionale del Vespa Club d’Italia. Ho visto il manifesto per le vie della città. Poi ho comprato il libro di Franco Marchetti, Storie di Piaggio, amore e libertà che ha una bella copertina gialla che sembra disegnata da Keith Haring con figure in movimento con la vespa e tra le vespe. E poi ho letto che il gruppo Piaggio punta sulla California e la vespa è il “due ruote” più venduto negli Stati Uniti. E in Vietnam aprirà tra poco un secondo stabilimento vicino ad Hanoi. Poi ho saputo che la Rsu Fiom della Piaggio proclama da sabato 17 marzo lo “sciopero dello straordinario e dei sabati lavorativi in banca ore”. Il nuovo slogan dei piaggisti è semplice e sicuro, come un segno di Keith Haring: “Intanto… senza Contratto Nazionale il sabato si sta a casa!”.
E poi la scorsa estate, nel tempo vuoto, caldo e lento vicino a ferragosto, Susanna mi ha detto: “Andiamo a Roma in vespa!”. Allora abbiamo fatto il proposito per la prossima estate di andare a Roma in vespa. D’estate, a Roma, a Pisa, a Lucca, al mare… mi piace tantissimo andare in vespa. La mia vespa è una PX blu comprata nel 1979 con uno dei miei primi stipendi. Con quella vespa siamo andati sulla “strada della morte” fino al confine con l’Albania, riusciremo anche ad andare a Roma. “Io, la vespa” è qualcosa che lego soprattutto a due film: gli allegri vagabondaggi nel 1953 di Gregory Peck e Audrey Hepburn in Vacanze romane e il primo episodio di Caro diario che si intitola In vespa, dove il protagonista nell’estate del 1993 gira per le strade semideserte di Roma.
La vespa è nata nel 1946. Enrico Piaggio, finita la guerra, con pochissimi operai, si trova di fronte al problema di ricostruire la fabbrica a Pontedera dove la produzione era finita prima del conflitto. Allora ebbe un’idea fantastica, inventò con poco qualcosa di nuovo, pratico, economico e di bassi consumi, e incaricò Corradino D’Ascanio, ingegnere aereonautico, di progettare una specie di macchinina a due ruote adatta a una o due persone. Questa è la novità, creare dal nulla qualcosa come la vespa. E questo è il meglio del ”made in Italy”. Si chiama “Vespa” perché il produttore rimase colpito dalla forma disegnata da D’Ascanio: carrozzeria ampia con la parte posteriore bombata e ronzio del motore. La vespa non è una motocicletta tradizionale, ma un mezzo a due ruote facile da cavalcare, con uno spazio vuoto dove mettere le gambe senza sporcarsi e senza scaldarsele col motore. Ha qualcosa di donchisciottesco. Bisogna essere un po’ matti oggi per andare a Roma e in giro con una vecchia vespa come la mia.
Come sono fatte le prime vespe? Hanno una meccanica elementare. Fanale in basso, sopra la ruota anteriore. Due ruote piccole quindi più pericolose di quelle di una moto, che consentono una struttura più leggera. Il motore dietro con la ruota di scorta come l’automobile rappresentava un vantaggio rispetto alla moto, questa innovazione lascia uno spazio libero protetto da una lamiera. Con lo spazio libero tra le gambe la vespa cambiò il rapporto tra i sessi. Fu progettata anche pensando alle donne con le gonne che la potevano guidare senza indossare i calzoni e potevano salirci dietro con la seduta laterale tipica delle donne costrette dalle convezioni dell’epoca a portare solo le gonne.
La vespa indica da subito un nuovo stile di vita che anticipa la modernità italiana. Si usa la vespa per uscire dal paese e dalla città: uomini e donne insieme vanno ad amoreggiare, a conoscere qualcosa di nuovo nel territorio intorno. Si va fuori, si è indipendenti. Il movimento degli italiani si allarga. La vespa è il simbolo di libertà, di leggerezza e di effervescenza. Gregory Peck ne è lo stereotipo, porta in giro per Roma Audrey Hepburn e si innamorano. “Prendimi e portami via”, questo è il messaggio implicito che la vespa porta con sé. “Vieni via con me”, prima di Paolo Conte, è il messaggio della vespa come mezzo per gli innamorati. “Chi vespa mangia le mele” è il messaggio per la mobilità facile dei giovani che cominceranno a cambiare i propri comportamenti. La carrozzeria si presta ad essere colorata e la vespa oltre che utile, diventa bella da guardare come una sedia con uno stile che la avvicina all’arredamento di una casa. Quando andavamo in campeggio in vespa, la chiamavamo la nostra “chiocciolina”.
Nel 1946 pochi scommisero sul successo duraturo della Vespa che vinse la concorrenza sulla Lambretta. E invece succede il miracolo, come sempre imprevedibile: la vespa emerge come mezzo che sa interpretare il cambiamento di un’epoca, diventa un simbolo del boom economico, entra nell’immaginario collettivo degli italiani. Le ragioni di questo successo sono inspiegabili, ma forse attengono alla praticità e alla bellezza. Si va in vespa per muoversi facilmente, guardare e farsi guardare. In un viaggio in vespa con Susanna, a Lubiana o a Zara non ricordo, nel 1981, ci capitò di parcheggiarla davanti a un bar e di entrare per bere qualcosa, quando fummo dentro la stanza all’improvviso tutti, compreso il barista, uscirono in strada, noi rimanemmo soli nel bar, ci voltammo e vedemmo il gruppetto intento a guardare la nostra vespa. Lì per lì pensammo che fossero scemi, poi cominciammo a sorridere con loro.
Cara rubrica, c’è una cosa che mi piace fare più di tutte! Mettermi il casco bianco e girare in vespa. Nanni Moretti in Caro diario torna nel posto dove hanno ammazzato Pasolini, lo scrittore che negli anni Settanta racconterà nei suoi Scritti corsari gli effetti negativi della modernizzazione. Cara rubrica, ti faccio una domanda: siamo sicuri che sia bene identificarci troppo con gli oggetti che usiamo?
P.S.
La foto me l’ha regalata il mio amico Stefano Barbuti. Suo padre Sergio e tre suoi amici, sul foro di San Giuliano, alla guida di una vespa nel 1949.
odellac dicembre 2023
Leave a reply