Giulio Cerrai

Ho ritrovato qualcosa del mio ieri. Una copia di un vecchio giornale, il “Quotidiano dei lavoratori” del 16 aprile 1982, a pagina 2, nella rubrica delle lettere, c’è la poesia per Giulio Cerrai (vedi immagine), che scrissi quando mi arrivò la notizia della sua morte.

Sul mio diario scrissi questa paginetta per Giulio:

“San Giuliano Terme (Pisa). 18 marzo 1982, venerdì. Giulio Cerrai è morto, stroncato da un infarto. Non beveva alcolici, non fumava. Gli unici suoi vizi erano di contare le rughe a questo potere, di incazzarsi contro i compagni non compagni, di desiderare una società più giusta, così come un vecchio socialista senza tessera poteva pensare. Non si stancava mai di leggere, di conoscere, di studiare.”

Dopo c’è la prima stesura della poesia in suo ricordo piena di cancellature:

 

“In ricordo di Giulio Cerrai

Passi ondeggianti di un corpo piccolino esile

socialista senza tessera

non ti stancavi di contare le rughe del potere

 

Se pure stavi solo con complici letture

ti gettavi nella mischia

contro i compagni non compagni

che non cessavi di amare

 

Nel tuo nome era scritta la tua vita

non era il tempo di morire

primavera severa

dovevi continuare

 

Nel tuo nome è scritta la tua vita

Non in questa poesia del tutto casuale

Che mi toglie il respiro soffoca

Con una mano assassina che preme il guanciale

 

Non era il tempo di morire

primavera severa

dovevi continuare a soffiare

sulle nostre vele sgualcite

 

nel tuo nome è scritta la tua storia

giusto generoso solidale

non in questa poesia del tutto casuale

a cui non serve trovare scrivere un finale.”

 

Segue l’appunto del telegramma con il mio indirizzo della prima casa in cui ho abitato a Sondrio:

 

“18-3-82 Sondrio, via Ca’ Bianca 33

Telegramma a Clara e Giacomo Cerrai

Giulio, grande amico mio,

non lo scorderò mai

Ovidio.”

Lo ricordo ancora oggi con affetto a distanza di quasi quarant’anni dalla sua scomparsa. Era andato da poco in pensione dopo aver lavorato per molti anni come segretario in un istituto superiore di Pisa. Io ero amico di suo figlio Giacomo, e avevo una grande simpatia per i suoi genitori, Clara e Giulio. Se dovessi descriverli in poche parole: una saggezza semplice e un comportamento onesto. Mi piaceva parlare con loro e ascoltarli. Soprattutto con Giulio. Mi piaceva come vestiva, sempre in giacca e cravatta, un’eleganza che non aveva niente da esibire, ma era cura di sé e rispetto per gli altri. Mi piaceva questo dialogo tra io giovane e lui un po’ anziano, come chiamavo allora le persone con più anni di me, non era molto vecchio in realtà. Di preciso non ricordo di cosa mi parlava Giulio, di sicuro i riferimenti alla politica non mancavano, poi spaziava su certi romanzi che aveva letto e sulla vita del paese in cui abitavamo. Ogni cosa che gli usciva dalla bocca me la diceva con sincerità e affetto, quasi volesse confidarmi qualcosa. Gli devo gratitudine per le sue parole di incoraggiamento per i miei studi e per quando si rallegrava se le cose mi andavano bene, soprattutto quando superai a pieni voti il concorso per diventare professore.

Colpisce, nelle cancellature della poesia, quel “mi soffoca / con quella mano assassina che preme il guanciale.” Non so commentare quelle mie parole. Forse non riuscivo a sopportare il dolore delle persone care che se ne andavano? O ero fragile, ancora fragile, e dentro di me si agitavano delle angosce, le stesse che mi porterò nella tomba, anche se con gli anni ho imparato a tenerle un po’ a bada? Scrivo queste brevi riflessioni sabato nove gennaio duemilaventuno, anno che, se non fosse per il vaccino, per la memoria politica mette malumore per la vittoria della controrivoluzione, con una certa e strana allegria. L’allegria dei fragili, tanto per parodiare Ungaretti. Chissà se un giorno un giovane leggerà del mio piacere di ieri nel parlare con un vecchio e di quanto oggi da vecchio mi piacerebbe parlare con un giovane o con qualsiasi altra persona nella realtà e non solo a distanza.

odellac gennaio 2021