“Qualcuno io dico si ricorderà di noi nel futuro”.
SAFFO
C’è una storia che dovete conoscere.
Non ve la posso raccontare, perché non voglio togliervi l’emozione della lettura o dell’ascolto.
Vi faccio solo il nome della protagonista: Agitu Ideo Gudeta.
I nomi sono importanti perché, quando tutto svanisce, rimangono a evocare il ricordo. Nei nomi c’è il tempo passato, ci sono le cose fatte insieme alle persone, i luoghi, altri nomi, le nostre vite. E questo nome forse vi ha fatto tornare alla mente qualcosa.
Qualcuno magari questa storia la conosce già, perché ha letto i tanti articoli di cronaca che hanno riempito le pagine dei giornali poco più di due mesi fa. Ma la cronaca è spesso fredda, impersonale o peggio ancora parziale. Personalmente ho trovato fastidioso questo approccio nei tanti articoli che ho letto e mi ha disturbato nella maggior parte dei tentativi fatti da quelli che hanno provato a raccontarla.
Ho trovato migliori e decisamente più incisivi i racconti per immagini, anche animate, in cui ci sono solo fotogrammi senza testo, che ognuno è libero di interpretare, senza insinuazioni e giudizi di parte.
Ma torniamo alla nostra storia, che è una favola vera e ha molto a che fare con la memoria. Il termine ha una radice antica, deriva da un verbo che significa ricordare, trattenere nella mente.
Avere memoria di qualcosa o qualcuno significa continuare a farlo esistere nel ricordo.
È importante che certe storie non svaniscano e la parola scritta, più di ogni altro strumento, ha un ruolo fondamentale perché rimane, non si cancella, aiuta a mantenere vivo il ricordo. Ci sono storie, come questa, che sono esemplari e devono essere raccontate. Le parole però hanno un peso specifico importante e per raccontare una storia così bisogna trovare quelle giuste. Non è facile per niente.
Quando Ovidio Della Croce mi ha raccontato la sua idea di una favola su Agitu Ideo Gudeta, a poche ore dalla diffusione della notizia della sua morte, ho avuto molte perplessità. Non mi sembrava possibile riuscire a scrivere una favola vera, oltretutto senza lieto fine, ma con un finale brutale. Un’impresa temeraria, per me inconcepibile.
Impossibile riuscire ad esprimere a parole, trasformandolo in fiaba, un evento tanto drammatico.
Proprio perché ero inizialmente molto scettica, sono rimasta stupita dal risultato finale. Ho apprezzato la purezza del racconto di Ovidio, una narrazione che non vuole strumentalizzare e non ha interesse a drammatizzare, forzando l’interpretazione. Una prosa delicata, senza retorica, arricchita dalle tavole realizzate da Daniela Sandoni, che accompagnano il testo caricandolo di emozioni.
Il linguista Louis Trolle Hjelmslev sosteneva che “nella lingua, e solo nella lingua, è possibile lottare con l’inesprimibile finché si arrivi ad esprimerlo”.
Questa favola è la prova che aveva ragione.
Si intitola La principessa delle capre felici. È stata realizzata con il patrocinio del Comune di San Giuliano Terme e lanciata dall’Associazione Molina mon amour. Sono state create da Massimo Ceccanti cinque versioni illustrate: un Pdf sfogliabile, un Pdf scaricabile, un Ebook, un librino, e un video in cui la voce narrante è quella di Daniela Bertini, che è stato girato nei locali della biblioteca dell’associazione Molina mon amour. I Pdf e l’Ebook hanno una prefazione di Daniela Lucatti e Ketty De Pasquale della Casa della donna di Pisa. Il librino, stampato in poche copie, è reperibile presso la Biblioteca “Uliano Martini” di San Giuliano Terme.
Il video della lettura di Daniela Bertini sarà pubblicato sulla pagina facebook di Molina mon amour domani e la scelta non è casuale: 8 marzo, giornata internazionale della donna, istituita per ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in molte parti del mondo.
E se ricordare è necessario, ancora più importante è imporre una riflessione che coinvolga tutti, perché storie come questa abbiano il lieto fine che meritano.
Questo 8 marzo 2021 lo dedichiamo a loro: ad Agitu e a chi con forza e determinazione porterà avanti il suo sogno. Alle vittime e a tutte le donne che resistono.
Cristina Marinari marzo 2021
Da: La Voce del Serchio 7 marzo 2021
La principessa di questa fiaba
Agitu Ideo Gudeta nasce ad Addis Abeba il 1° gennaio del 1978. Viene la prima volta in Italia a 18 anni per studiare Sociologia alla Facoltà di Trento. Torna poi in Etiopia dove denuncia le politiche di land grabbing (una forma di neocolonialismo, l’acquisto dei terreni agricoli, da parte delle multinazionali, a discapito delle popolazioni locali, che venivano represse e sfruttate, provoca un doppio danno: all’ambiente e ai contadini che, rimasti senza terra, sono costretti a lavorare nelle grandi piantagioni di canna da zucchero o di olio di palma, e così si impoveriscono e perdono la loro identità. Tutto questo con il pieno sostegno dei governi etiope, europeo e americano. Su di lei pende un mandato di arresto e nel 2010 è costretta a scappare. Torna in Italia, dove il governo le riconosce lo status di rifugiata. Trapiantata in Trentino porta avanti “la sua passione e la sua sfida: vivere in armonia con la natura e recuperare dall’estinzione la bellissima capra Mochena.”
Fonda l’Azienda Agricola Biologica “La capra felice” con sede a Maso Villata, n. 79, Frassilongo (Trento), dove alleva le capre e fa la casara, e un bel negozio a Trento. Nel 2015 riceve il Premio della resistenza casearia. Nel suo sito, sotto l’onorificenza, si legge questa frase di Erri De Luca: “…perché la terra è una e il pastore più di ogni altro mestiere sa che si è ospiti del suolo e non suoi proprietari. Ospiti delle notti squadernate sopra le loro teste, scintillanti di luci, o sotto ricoveri precari a tremare di pena sotto i lampi…”
Muore il 29 dicembre 2020, uccisa dal suo dipendente Adams Suleiman, un ghanese di trentadue anni, che la violenta mentre è agonizzante. Il giorno successivo al femminicidio l’uomo confessa il crimine, il cui movente sarebbe un mancato pagamento di un mese di stipendio, e viene arrestato.
Molti i messaggi di cordoglio non solo di trentini; supera ogni aspettativa la raccolta di fondi per aiutare i familiari a far fronte alle spese del trasferimento della salma in Etiopia e a proseguire la cura delle sue capre. I trentini manifestano con affetto il loro ricordo per Agitu Ideo Gudeta e il 30 dicembre partecipano in tanti alla fiaccolata silenziosa che va da Piazza Santa Maria Maggiore, dove ogni giovedì aveva la bancarella, al suo negozio di Piazza Venezia.
Beatrice Zott, per tutti Bea, non ha neanche vent’anni. La madre Antonella era amica di Agitu, per ora Bea si è presa il compito di curare le capre fino a che non verrà presa una decisione. Parte da Perigine di Valsugana, si fa strada tra i cumuli di neve, sale due volte al giorno fino alla stalla dove le capre svernano, la pulisce, prepara le balle di fieno, controlla che tutte le caprette, più della metà gravide, siano ancora “felici”, come vuole il nome della piccola Azienda. Poi torna a casa sua. Felice di fare la pastora, che è il suo sogno.
Quando questa fiaba vera era già stata scritta è arrivata la decisione: le caprette di Agitu sono state date in custodia agli allevatori locali. La comunità della valle dei Mòcheni è molto legata al sogno di Agitu. Speriamo che le capre continuino a essere “felici” e che questo sogno possa diventare un fatto reale.
odellac marzo 2021
Prefazione
È una cosa per noi insolita cimentarci in prefazioni a scritti di uomini che parlano di violenza sulle donne; questo non tanto per spirito di parte, quanto per la consapevolezza che nel futuro che noi, nel limitato tempo mortale che ci è dato, non riusciremo mai a riparare la sottovalutazione se non denigrazione che la cultura patriarcale ha riservato e riserva tutt’ora alle parole e alla vita delle donne.
Questa volta abbiamo deciso di fare un’eccezione; un po’ per la risonanza mediatica che ha avuto il femminicidio rievocato in questo racconto; un po’ per la formula con cui Ovidio ha scelto di raccontarlo: una favola che potesse parlare ai bambini e bambine della passione e della tenacia di una donna, della violenza di un uomo che non tollera questa forza; un po’ per i bei disegni di Daniela Sandoni (amica della Casa da sempre) che accompagnano con la loro potenza e incisività, anche per la scelta del bianco e nero, le parole del testo.
Ovidio racconta un’altra storia di principesse, non di tutte quelle che si riscattano e ri-vivono nel finale salvate ed “elevate” dal bacio del principe azzurro. Qui non c’è, come del resto nella vita delle donne nello scorrere dei secoli fino ad oggi, lo scontato lieto fine che quasi mai è stato aderente alla realtà. Qui la realtà si presenta cruda e veritiera (infatti è una triste favola vera al contrario delle altre) e si concretizza con la morte reale, così come accade in quella che è la mattanza quasi quotidiana dei femminicidi o, quando va bene, nella quotidiana morte della libertà e dell’autodeterminazione dell’altra metà del cielo. La determinazione, la resilienza, la passione di questa principessa sono infatti, così come tristemente accade, recise da un principe al quale sono state aperte le porte del meraviglioso e fertile castello costruito mattone su mattone dalla forza, dal lavoro, dalla cura e dalla creatività di una donna che ha fatto l’errore di essere generosa e di fidarsi. Un principe infatti (un uomo) non può accettare di non possedere un regno e la principessa che lo detiene, non può accontentarsi di farne parte anche a costo della distruzione di tutto, compreso il suo proprio futuro. Questo ciò che accade, realmente riscontrabile con troppa frequenza nei femminicidi e nei figlicidi. Qui la principessa muore, il principe firrà, speriamo, la sua vita in galera, ma il regno con tanto amore creato vivrà ancora nella fertilità e tenacia di un’altra donna, che speriamo avrà la sapienza di chiudere la porta a miseri uomini travestiti da principi o da poveri diavoli da aiutare.
Ringraziamo Ovidio che ha sentito l’urgenza di trattare questo tema, lo ringraziamo perché ancora troppo pochi sono gli uomini che si interrogano sul loro essere tali e di ciò che questo significa e soprattutto che, prendendone consapevolezza, decidono, partendo da se stessi, dai propri pensieri ed esperienze, di intraprendere la difficile strada del cambiamento, rendendosi così conto che la violenza di genere non è un problema delle donne, ma è un problema maschile figlio della cultura patriarcale che, se affrontato, renderà più liberi e felici anche loro.
Daniela Lucatti, Ketty De Pasquale
della Casa della Donna – Pisa
Sono state realizzate quattro versioni della fiaba, una PDF scaricabile, una in PDF sfogliabile, una video e una ebook in formato epub senza protezioni.