Vecchiano
Via Magagna 21, estate 1994: Massimo Magagna arrivava sull’imbrunire e, dopo aver salutato la mamma oltre la rete che la separava dal giardino di Antonio (Tabucchi, ndr), mi offriva la scelta del percorso per la serata: castello o legnaia. Di solito optavo per la legnaia perché la strada per il castello la percorrevo quasi ogni mattina e la conoscevo anche troppo bene: a destra in Via della Rocca, a sinistra in Via Roma e poi subito a destra in Via del Paduletto. Prima di inerpicarmi sulla salita con in faccia le pareti delle cave, mi salutavano a sinistra i cani di chi abitava all’angolo della svolta; avevo nel frattempo passato l’abitazione del fornaio, quello che una volta chiese ad Antonio: “Chi è quel pazzo che corre alle 6 del mattino?” Antonio aveva avuto la bontà di spiegare che quel “pazzo” ero io, che non aveva nulla da temere e che stavo solo smaltendo il jet lag dopo 24 ore di volo dall’Australia. Ma quando correvo di sera con Massimo fino al castello mi divertivo a tirare la corsa, specialmente sull’ultima piccola salita dove – avevo spiegato a Massimo – “you separate the men from the boys” – cioè qui si distinguono i veri uomini dai ragazzini. Massimo rideva a crepapelle e mi lasciava prendere l’iniziativa perché sapeva che con il mio ginocchio sbilenco facevo meglio andare in salita che non in discesa quando lui mi raggiungeva.
Ma la legnaia di sera era tutt’altra cosa: niente salita; un tratto di strada pianeggiante alla luce della luna e con gli odori del bosco che facevano esclamare a Massimo: “mitico!” Sì, infatti, queste furono passeggiate mitiche durante le quali parlammo di tutto ciò di cui vale la pena parlare senza essere troppo seri. Alla fine della passeggiata ci aspettava un bel bicchiere di vino dalla signora Rita e così si concludeva un’altra serata vecchianese; mai troppo tardi perché sapevo che il giorno dopo sul prestino e proprio di fronte al cancello della casa di Antonio avevo l’appuntamento con un altro Massimo, Marianetti che mi portava in altre località; con lui esplorai Marina di Vecchiano.
Ma le mie passeggiate vecchianesi erano anche quelle cittadine: da Via Magagna una prima fermata per il caffè alla “Favorita” (dove cenavo molto spesso e lautamente grazie alla generosità di Alessandro e Giulia) e poi, passata la scuola, tutta una tirata fino a Piazza Garibaldi, luogo d’approdo per un viaggio tabucchiano; per me molto caro perché avevo il privilegio di salire e salutare la mamma di Antonio. Accludo a questo mio ricordo la cartolina che la Riesa – così mi chiese di chiamarla nonostante le mie remore – mi mandò in NZ in ricordo delle mie visite; non so come il postino neozelandese sia riuscito a decifrare il nome e l’indirizzo ma l’ho ricevuta. Il giro della piazza e le chiacchiere con chi vi passava il tempo, qui e nella vicina piazzetta del mercato, mi facevano sentire più vicini ai personaggi che hanno popolato il primo libro di Antonio, quello che me lo fece conoscere nel 1977, nella lontana Australia. Una sera Massimo mi presentò anche al “mago” con il quale ebbi il piacere di scambiare quattro parole ma non ricordo esattamente di cosa si parlò. Più viva nella memoria la chiacchierata con Piero Chicca che mi illuminò sulla raccolta di modi di dire e di personaggi vecchianesi di altri tempi; il suo omaggio di Almadoc, 2000, Lo Scrocci, 2001 e Il mondo del mamài, 2002 hanno fatto da contrappunto alla raccolta di frizzi, riboboli e proverbi toscani che erano stati oggetto di ricerca per i miei studi sulla commedia erudita del Cinquecento toscano.
A quell’epoca conobbi anche Claudio Di Scalzo che anni dopo (1997) mi fece omaggio del suo Vecchiano, un paese; le foto che accompagnano il libro sono una viva testimonianza dei luoghi che avevo conosciuto come lo è anche il prezioso libro Il fiume, la campagna, il mare, donatomi con dedica (28/4/95) dal sindaco di Vecchiano, Giancarlo Lunardi; penso di essermi guadagnato quell’omaggio quando, durante una cena alla “Favorita”, avevo detto a Massimo, di ritorno da un mio viaggio lampo a Trinity College: “ Stamattina ho fatto colazione a Dublino, pranzo a Londra e ora cena a Vecchiano: il massimo.” Mi torna difficile ora – a distanza di più di 30 anni – filtrare le memorie e incanalare il loro flusso in una struttura lineare e crolonogica; quante volte sono andato nella biblioteca di Vecchiano e parlato con Paola, allora la fidanzata di Massimo Marianetti, e con tante altre gentilissime bibliotecarie? Quante volte ho scherzato con Giancarlo, l’idraulico, amico d’infanzia di Antonio? Sugli scaffali del mio studio (ora abito a Auckland, Nuova Zelanda) ci sono – oltre a tutti i libri di Antonio e alle traduzioni delle sue opere nonché ai libri di commenti eruditi sulla sua opera – tanti altri che complementano in vari modi quell’esperienza vecchianese. Vorrei ricordarne solo uno, Campane del mio villaggio, di Davide Benati e Antonio Tabucchi; tornai in Italia proprio per quest’appuntamento l’anno dopo, 20 gennaio 1996; Massimo Marianetti mi accompagnò ai Magazzini dei cereali della tenuta Salviati, Migliarino Pisano. Conservo, firmato da entrambi gli autori, l’esemplare n. 263/350 di questo elegante libro stampato in caratteri Bodoni, su carta Modigliani.
Dalle passeggiate con Massimo Marianetti ho fatto tesoro delle sue dotte informazioni sul filosofo Kant di cui era attento studioso; qualche anno dopo (1999) mi fece omaggio di un prezioso studio pubblicato nella prestigiosa “Biblioteca di Studi Kantiani” n.9, dal titolo Vivere, invecchiare ed essere vecchi. Titolo molto appropriato per chi, come me, va avanti con gli anni e cerca di colmare distanze geografiche con la memoria che mi riavvicina a quello che è stato un momento fondamentale nella mia vita: il ritorno – dopo tanti anni all’estero – a un ambiente italiano, un ambiente non di grande città, troppo occupata ad esibire se stessa e a combattere lo stress moderno, ma a una cittadina dove gli abitanti e il loro modo di fare erano a misura d’uomo. L’ho sempre detto ai miei studenti, quando mi chiedevano dov’era meglio andare ad abitare in Italia: scegliete una piccola cittadina dove il contatto giornaliero, quello umano e spontaneo, vi gratificherà; specialmente voi di origine anglosassone che non siete molto abituati ad aprirvi e ad essere espansivi; vedrete che, come è successo a me, la cittadina diventerrà un punto di riferimento molto importante nella vostra vita.
Queste parole riflettono esattamente quello che è successo a me; con il passaporto australiano mi sentivo a mio agio sia a Vecchiano sia a Vecchianello all’estero e nel corso degli ultimi anni ci sono tornato regolarmente. Il legame con Vecchiano e questo ricordo molto emotivo è scaturito dalla visione di una voce nel blog di Ovidio Della Croce, amico sangiulianese che ho conosciuto nella pizzeria “Il Montino” alcuni anni fa in compagnia della sua compagna Susanna. È stato Massimo Marianetti ad organizzare l’incontro; Massimo che è diventato, quindi, il punto di collegamento tra il mio passato e il futuro vecchianese. Futuro impersonato da suo figlio Giovanni, al momento studente di lingue ma che, al tempo opportuno, verrà a perfezionare la lingua inglese in NZ, ospite a casa mia per la totale immersione in un ambiente anglosassone.
Penso di aver già dato troppa “stura” ai ricordi vecchianesi che da Vecchiano mi hanno portato a Pisa, dove andai a vivere dopo il primo soggiorno vecchianese a casa di Antonio. Delle amicizie con tante persone che non avrei mai conosciuto se non fosse per Antonio e gli amici vecchianesi ho il piacere di ricordare: Athos Bigongiali, Ugo Riccarelli, Fausto Guccinelli e tanti altri che mi sono stati vicini durante i miei studi e impegni accademici sia alla Sapienza sia alla Normale.
Bruno Ferraro gennaio 2021
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