Non sono superstizioso ma nelle ultime settimane – quando ero andato a conoscere il poeta e poi a ritrovarlo – Luna Rossa aveva vinto. Eravamo sul 4-0: ieri Paul non c‘era ed è finita pari: Luna Rossa – Ineos: 5-1. Oggi, alle 16 torno a Milford Beach da dove i cronisti avevano indicato un luogo da dove vedere – anche se molto al largo – la regata e, secondo loro, i venti forti avrebbero avvantaggiato l’imbarcazione degli inglesi. Paul, scherzosamente, mi aveva chiesto di avvisarlo di una prossima visita perché avrebbe voluto indossare indumenti che non tradissero il suo lavoro nel giardino; e così feci, nonostante sapessi che lo aveva detto in modo ironico, lui che disdegnava ogni conformismo sociale ma rispettava, da persona educata e istruita, quelle che erano le regole più semplici: l’ospitalità e il dialogo. Dopo la precedente visita, quando avevamo parlato di poesia, etimologia e numerologia, avevo osato scrivergli un racconto in cui pretendevo – immerso nelle mie elucubrazioni dantesche – di avvicinarmi alla sua abitazione come se fosse l’entrata a un luogo deputato, non dissimile all’inferno dantesco: la barca era quella di Caronte (anche se bucherellata e inadatta a trasportare le anime dei morti), Bo era tutt’altro che Cerbero perché dopo alcuni minuti aveva preso a leccarmi gambe e mani, e Paul – di sicuro – non era Caronte.
Paul aveva accolto bonariamente questo mio divertissement letterario e aveva apprezzato la citazione che gli avevo scritto, quella di Octavio Paz che dice (parafraso, come avevo fatto per lui ma in inglese: [questa dualità di registri mi pone alcuni problemi; con Paul parlo in inglese ma quando scrivo queste righe devo calarmi in un altro registro] “Un poeta non ha una biografia, le sue poesie sono la sua biografia”. Gliel’avevo scritta di rimando alla dedica che mi aveva fatto al suo libro di poesie, dedica che lui stesso aveva detto di aver ricavato da alcuni versi di T.S. Eliot dalla raccolta, “The Wasteland” (La terra desolata). A quel punto mi ero trattenuto dal dirgli che Eliot, a sua volta, era stato ispirato da alcuni versi danteschi, poeta che lui conosceva molto bene e al quale aveva confessato il suo debito in una lezione all’Istituto Italiano di Cultura a Londra : «Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore». Paul aveva apprezzato come anche aveva apprezzato il precedente riferimento alle “Stanze” del Poliziano quando in una sua poesia aveva menzionato Zefiro.
Paul aveva dapprima resistito a farmi omaggio della sua raccolta di poesie ma poi aveva ceduto; forte di questo dialogo che si era oramai stabilito tra noi due, mi ero proposto oggi di curiosare su varie cose che aveva menzionato in precedenza ma molto en passant: la storia della sua baracca, delle sue battaglie contro le autorità, del suo background letterario. Dopo aver vissuto per tanti anni in un ambiente anglosassone sapevo (almeno, così speravo) come calibrare le mie domande senza essere invadente o aggressivo. È Paul a venirmi incontro non solo per le domande che mi preme fargli, ma anche per l’occasione: una bottiglia di birra Peroni in mano e mi dice: “Questa è per brindare alla vittoria di Luna Rossa. Gli inglesi sono bravi a colonizzare ma non a regatare: guarda cosa hanno fatto quando sono arrivati qui nell’Ottocento; hanno disboscato le foreste di kauri perché gli alberi dal tronco molto alto e diritto potevano essere usati come alberi maestri dei loro velieri; hanno combattuto guerre contro i Maori, spesso perdendole nonostante la loro superiorità numerica e bellica; hanno vinto a tavolino con quel trattato di Waitangi con il quale sono riusciti a sottrarre alle popolazioni indigene la terra e le proprietà private. Ma tu queste cose le sai, quindi, lasciamo stare e prepariamoci, invece, a brindare alla vittoria finale degli italiani.” Mentre parlavamo Luna Rossa aveva vinto la prima regata: Luna Rossa – Ineos: 6-1. Paul, giubilante, l’aveva accertato dal cellulare che aveva acceso e sul quale – molto orgogliosamente – mi aveva detto che aveva scaricato una app in modo da poter seguire l’andamento delle gare.
- Paul, la volta scorsa abbiamo parlato di Ermete Trismegisto, della magia che ogni numero racchiude in sé e che solo gli iniziati potevano dischiudere e spiegare. Noi, però, ci eravamo limitati a parlare di cose molto più terra terra: era il 13 febbraio e tu mi dicesti che quello era il tuo numero preferito.
- Mentre tu mi dicesti che preferivi il 9, giorno della tua nascita: nel ‘45 e la somma di queste due cifre è 9. Scommetto che oggi hai qualcosa da dire sulla data.
- Certo; 21-02-2021, un numero che porterà fortuna perché contiene tutte le convergenze numeriche. Noi italiani siamo amanti dei numeri perché li ritroviamo dappertutto e li interpretiamo a nostro volere e piacere senza dover ricorrere a teorie ermetiche o filosofie esoteriche. Per esempio, prendi il gioco del lotto; anche in questo paese c’è una lotteria con varie estrazioni ogni settimana. In Italia la scelta dei numeri giocati al lotto spesso è basata sull’affinità che uno può avere con quei numeri; affinità che, molto spesso, si ricollega a situazioni personali o, addirittura, ai sogni. Ricordo che a Napoli, dove ho vissuto per un po’ di tempo, si trovavano dei banchetti in vari vicoli della città vicino al centro; da questi banchetti un esperto “traduceva” in numeri i sogni che avevi fatto e poi tu te li andavi a giocare, dando fiducia alle informazioni che avevi ricevuto.
- Ma questa è solo superstizione.
- Certo, ma se ci credi, vale la pena tentare la sorte. Ma, vedi, non solo per vincere al lotto ma anche per giocare, i numeri trasmettono varie nozioni popolari. Prendi il gioco della tombola, che qui chiamate “bingo”: ebbene, l’estrazione di ogni numero è accompagnata da qualche parola o frase associata a questo numero. Di solito la persona incaricata è una persona di spirito che riesce a far ridere poiché è un gioco di famiglia praticato generalmente durante le feste natalizie e, quindi, alla presenza di bambini, ma ci sono anche delle tombole con disegni alquanto spinti e didascalie non certo adatte ai minorenni.
- Ma guarda.
- I numeri sono così radicati nella cultura popolare che servono a trasmettere nozioni e analogie che tutti riconoscono al volo senza andare a disturbare la “Cabala” o manuali di simboli. Prendiamo il numero 13, il tuo numero; in Italia porta fortuna mentre nella cultura anglosassone non è così. Ti do un esempio da un film che ho rivisto ultimamente: “Il bell’Antonio”; il film è degli anni sessanta ma il romanzo da cui è tratto risale agli anni quaranta e l’autore è un famosissimo scrittore dell’epoca: Vitaliano Brancati.
- Lo sai che sono stato nel tuo paese ma molti anni fa e la memoria di tante esperienze è ancora viva ma anche sbiadita come quelle foto colore seppia che ho in giardino.
- Dove sei stato in Italia?
- È stato mio nonno a decidere l’itinerario, quello tradizionale in quei tempi: Roma, Firenze, Venezia ma anche Pisa: il nonno amava la matematica e Fibonacci era il suo idolo. Avevo solo 11 anni ma ricordo perfettamente certe situazioni: il vociare della gente e tutte quelle donne che mi volevano abbracciare e baciare: come vedi da questa foto sbiadita ero un bel ragazzo, molto più alto di quello che vedi ora che sono rattrappito dagli anni e dall’artrite. Mio nonno Malcolm era fiero di me e godeva dell’attenzione delle belle donne italiane. Non sto qui a dirti che quel viaggio segnò la mia vita perché forse non è vero: ma chi lo sa? Quello che è certo è che mi sono rimasti impressi certi colori e certe situazioni che ho rivisitato grazie ai libri che vedi lassù; un giorno ci dovrò tornare: la mia poesia ne ha bisogno. Ma tu ora continua a raccontare perché tutto questo mi interessa; non sono cose che troverei facilmente perché non saprei dove andare a cercare. Puoi immaginare che quando ero in Italia mio nonno non mi avrebbe mai permesso di venire a contatto con gente del popolo! Eravamo sempre in compagnia di famiglie inglesi: sai quelle che popolano i romanzi di Forster, in Italia per il “grand tour”. Dopo questo viaggio e la lettura di Forster, quand’ero oramai un giovanotto, perché prima mi sarebbe stato impossibile mettere le mani sui suoi libri, andai alla ricerca di quelle opere di Lawrence ambientate in Italia; non per le ragioni scabrose che tu conosci (il rapporto della moglie Frida con quell’italiano, sebbene abbia letto con piacere L’amante di Lady Chatterley) ma per cogliere le sue impressioni sui vari luoghi in cui ha vissuto: Lago di Garda, varie località in Campania e, specialmente, la Sicilia dove si immerge totalmente in quella cultura e letteratura; saprai che aveva tradotto Mastro don Gesualdo. Saprai anche che Lawrence era un grande viaggiatore: non solo in Europa. Partito da Napoli aveva soggiornato a Ceylon, proseguendo poi per l’Australia dove ha scritto il romanzo Canguro, ed è arrivato anche qui e nelle isole Cook dopo un lungo viaggio in mare e da qui ha raggiunto gli States e il Messico. Spesso mio nonno doveva imporre la sua considerevole presenza (guarda questa foto: era più alto di me con questo barbone ancora più lungo del tuo) per non essere trattato da “povero cugino” dagli antipodi: lo sai come sono gli inglesi! Scusa l’interruzione, continua con la trama del film.
- Il protagonista è interpretato da un giovane Marcello Mastroianni che sposa la bellissima Claudia Cardinale; sembra il matrimonio perfetto ma qualcosa non va: dopo tre anni si viene a sapere che il matrimonio non è stato consumato perché lo sposo è impotente. Ti puoi immaginare la tragedia per un uomo italiano e per di più per uno siciliano: l’autore del libro, lui stesso siciliano, lo mette in evidenza nel modo in cui ci presenta il padre, incredulo che suo figlio possa non essere all’altezza della situazione. Per assicurarsi dal figlio stesso gli telefona: le prime due cifre sono “17” e subito esprime disappunto perché il 17, si dice, porti sfortuna; allora il traduttore dei sottotitoli traduce 17 con 13 per il pubblico di lingua inglese.
- Oh Dio! Allora dovrei scartare il 13 come mio numero preferito.
- Non se non sei superstizioso e se il 13 ha per te un significato particolare. Ma tu sei una persona colta e capirai che tutto questo è legato ai luoghi comuni e pregiudizi di cui abbondano le nostre culture. Mi ricordo questo articolo apparso qualche anno fa in un rotocalco australiano (uno serio) in cui si leggeva: “ll paradiso è un posto dove i poliziotti sono inglesi, gli ingegneri tedeschi, gli amanti italiani, gli organizzatori svizzeri e i cuochi francesi.
- L’inferno è un posto dove i poliziotti sono tedeschi, i cuochi inglesi, gli ingegneri francesi, gli organizzatori italiani e gli amanti svizzeri.” Che ne pensi?
- Tu non sai quanto mi ha interessato tutto quello che mi hai raccontato e quanto mi fa piacere parlare con te: di cultura alta ma anche di quella popolare. Vorrei conoscere altri film italiani dai quali trarre conoscenza di tutto questo.
- Allora, si potrebbe fare così: vengo con il mio portatile e si possono leggere i DVD; ce li guardiamo e discutiamo quando hai tempo.
- Il tempo lo trovo e la prossima volta che vieni ti farò trovare anche una bottiglia di un buon rosso.
- Questa sì che è un’ottima idea; dovrò venire sul tardi quando fa meno caldo e portare una buona pila perché questo sentiero accidentato sarà piuttosto pericoloso al buio.
- Non so come sdebitarmi.
- Scrivendo dei versi sulle tematiche che discuteremo.
- E poi tu li dovrai tradurre in italiano.
- Questo non lo prometto; la traduzione è un’arte, specialmente quando si tratta di poesie. In italiano c’è la seguente frase: “Traduttore vuol dire traditore” e io non vorrei mai essere tacciato di tradimento; ricordi dove Dante li pone: all’Inferno. Inoltre, i tuoi versi sono molto ermetici (tanto per ricordare come abbiamo iniziato questa conversazione), specialmente quelli in cui ricordi esperienze molto personali, quali la morte di un paio di carissimi amici, oltretutto poeti anche loro. Dovrei farne un’esegesi dettagliata e tu, nonostante sia aperto al dialogo, non sei molto loquace.
- Possiamo sempre provare; non è vero? Quando torni? Spero di non dover attendere fino al 6 marzo quando riprende la Coppa.
- Spero di no; comunque, quella sarà la finalissima tra Luna Rossa e i kiwi.
- E per chi farai il tifo?
- Non ho nessun dubbio: per Luna Rossa, sperando che non venga sconfitta così nettamente come era successo nel 2000 quando Luna Rossa, avendo eliminato l’americano Cayard, si era trovata in finale contro i kiwi. Guarda, questo non è patriottismo o sciovinismo, dopotutto sono qui da trent’anni e sono cittadino di questo paese al quale devo tanto; Luna Rossa gareggerà contro la squadra locale e avrà bisogno di tutta la solidarietà dei pochi italiani che ci sono. Mi ero trovato in una simile situazione nel 1999 durante le finali della coppa del mondo di rugby che si giocava qui a Auckland; l’Italia giocava contro l’Australia e io, all’epoca, ero cittadino australiano. Pur sapendo che la squadra italiana era “l’underdog”, cioè destinate in partenza a perdere perché gli australiani erano fortissimi, munito di un bandierone tricolore mi ero associato a pizzaioli e camerieri italiani dietro la porta italiana incoraggiando i giocatori a resistere ondata dopo ondata all’attacco dei canguri. La loro sconfitta non è mai stata in dubbio ma la soddisfazione di fare il tifo per i perdenti è stata grande.
- Capisco che anche tu hai perso tante battaglie e che ci ritroviamo sullo stesso fronte. Senti, se vuoi guardare la regata, basta uscire sulla veranda: a Bo farebbe piacere condividere il divano con noi. Ma, prima di uscire, ti volevo far vedere questi libri, a te che piacciono i libri antichi; certo queste non sono le cinquecentine di cui mi hai parlato ma questo è il libro più prezioso in questa casa: una storia della Nuova Zelanda di un mio antenato del 1891. È lui il responsabile della fortuna della mia famiglia: io ho ereditato questa casa e i suoi libri e ne sono molto soddisfatto. Mi avevi chiesto di dare un’occhiata agli scaffali, fa pure e mi farebbe piacere che ci sedessimo proprio qua: sai, tra la gente che mi passa ogni giorno in giardino, non ho mai trovato uno che si interessa ai libri e che mi può parlare dell’Italia e della sua cultura.
- Ecco; quando hai incominciato a scrivere. Quando hai sentito che saresti stato un poeta?
- È una domanda difficile alla quale non posso risponderti perché significherebbe parlarti di tanti anni in famiglia, tante letture, tanti anni persi a lavorare come bracciante e stalliere in una fattoria, onde l’amore per i cavalli che tu hai notato in alcuni dei miei versi; ascolta, quando dico “persi” voglio dire anni lontani da quello che ho poi scoperto essere il mio vero amore: il mare, i fiori, gli uccelli che si fermano qui. Avrai visto dalle foto del mio libro che ci sono martin pescatori, gabbiani, tui e di notte anche morepork. Oramai sono legato a questa realtà, a questa baracca che non ha luce e acqua corrente e che è continuamente presa di mira dagli speculatori che vogliono comprarmela: ma lo sai quanto sono disposti a pagare? È pazzesco. Non venderò mai questo fazzoletto di terra: è tutto quello che ho; dove andrebbe Bo? Dovranno seppellirmi qui: il mio cimitero marino.
- Paul, forse senza accorgerti, hai citato la poesia di uno dei miei poeti francesi preferiti: “il cimitero marino” di Paul Valery. Ma ne parliamo dopo perché i suoi versi racchiudono temi a te molto cari: il mare, la giustizia (viene menzionata anche la dea della giustizia Minerva), la morte. Paul, l’altro giorno mi hai detto che eri marxista, comunista; come fai a conciliare queste tue idee con la storia della tua famiglia e con i tempi in cui vivevi? Dopotutto non tutti si possono permettere viaggi in Europa o l’istruzione che tu hai avuto.
- Hai ragione ma, di nuovo, scusa non ti posso rispondere; solo qualche anno fa ho sentito il bisogno di mettere per iscritto certe sensazioni; non ho mai avuto un programma. Il libro di cui ti ho fatto omaggio, come vedrai dalla premessa e dalle foto, è opera di amici che hanno voluto così mostrare il loro affetto. Devo ammettere, e non per vanità, che ne sono stato molto lusingato, come lo sono anche dall’interesse di alcuni lettori, passanti che si fermano davanti al giardino, guardano le foto e le pagine sparse al vento. Quello che mi gratifica maggiormente è che questi sono giovani, che hanno passato la giornata in spiaggia e sulla via del rientro, prima di organizzare la loro serata, trovano il tempo di fermarsi e scambiare quattro chiacchiere con un matusa come me. Ma ascolta Luna Rossa ha vinto: 7-1. Cin cin. Quando sei venuto qui la prima volta mi avevi espresso il tuo disappunto sui miliardi spesi in queste gare e su quanto la tecnologia sia veramente quella che gareggia e io, d’accordo con te, ti avevo letto quella poesia sul mare, le onde e le imbarcazioni di una volta.
- Sì, è così che è iniziato il nostro dialogo: all’aperto nel tuo giardino; la foto che appare nel tuo libro ne testimonia lo splendore e la varietà delle piante che coltivi. Peccato che sia protetta dal copyright della fotografa, mi sarebbe piaciuto riprodurla nel blog al quale presento questi testi.
- E allora, in onore della tua visita e dei libri di cui abbiamo parlato, chiediamo a un passante di farci una foto davanti agli scaffali.
- Perfetto, ma sono io a dover dire che non sono vestito per l’occasione, coperto da questa maglia speciale che mi protegge da ulteriori melanomi. E sono settimane che non mi spunto il barbone.
- Dai, non mi dirai che sei vanitoso!
- No, cerco solo il tentativo di apparire dignitoso: vedi anch’io so fare delle assonanze; eppure non sono né poeta né fingitore: sono parole che prendo a prestito da un grande scrittore e amico; fartelo conoscere non sarà una fatica grazie alla traduzione in inglese dei suoi testi, ma un piacere, un onore. Ma sarà per un’altra volta.
- E allora, ciao di nuovo.
Bruno Ferraro febbraio 2021
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