(23 dicembre 2020)
Avevo seguito le istruzioni: lasciare il centro della città, prendere sulla destra e seguire le indicazioni per Otago Peninsula; alla fine di questa penisola-promontorio avrei trovato Taiaroa Head, l’unica colonia di albatro al mondo. La strada si dipanava per una ventina di chilometri con poche case sulla destra mentre sulla sinistra l’Otago Harbour preannunciava un’apertura sull’oceano. Per visitare la colonia degli albatri era obbligatorio prenotare un tour con la guida e così mi trovai su un pulmino ad ascoltare lingue di varie nazionalità; mi ero seduto da solo per contemplare meglio il paesaggio in silenzio e prepararmi mentalmente per l’arrivo alla colonia. L’accento francese di una passeggera mi riportò alle lezioni sulla poesia francese quando Mademoiselle Fleury ci spiegava simbolismo e romanticismo; il suo autore preferito era Baudelaire: era innamorata delle sue poesie mentre tutti noi eravamo innamorati del suo accento, e non solo di quello. E ora – in prossimità del colle dell’albatro – come non ricordare i versi della poesia di Baudelaire, “L’Albatros”, che lei conosceva a memoria e recitava con un élan particolare:
“Le Poète est semblable au prince des nuées
Qui hante la tempête et se rit de l’archer;
Exilé sur le sol au milieu des huées,
Ses ailes de géant l’empêchent de marcher.”
Il poeta si paragona all’albatro; l’uccello domina col suo volo gli spazi ampi: le sue grandi ali lo rendono regale nel cielo; ma, se gli capita di essere catturato dai marinai, si muove goffo e impacciato sul ponte della nave e diventa oggetto di scherzi e di disprezzo; e sono proprio le grandi ali che lo impacciano nel muoversi a terra.
L’autobus continuava il suo percorso; avevamo passato il sobborgo di Portobello e mancava solo una decina di chilometri all’arrivo. Mi ero informato su varie cose: Toroa è il nome Maori per albatro, la colonia è situata su un cocuzzolo di terra, Pukekura, che apparteneva ai Maori, ma che era stata occupata dai colonizzatori inglesi alla fine dell’Ottocento per costruirvi un forte a difesa da possibili incursioni russe poiché si temeva un conflitto tra l’Inghilterra e la Russia. Nel 1889 un cannone costruito a Newcastle fu piazzato in un vano sotto il promontorio; ne era permessa la visita, ma non avevo nessuna intenzione di farla.
L’arrivo alla colonia avviene in un parcheggio, Harington Point, dal quale si possono ammirare sulla vicina spiaggia, Pilots Beach, colonie di foche, leoni marini e pinguini blu, i più piccoli al mondo: visibili a occhio nudo dopo il tramonto quando rientrano alle loro tane; enormi leoni marini prendevano il sole, ignari dei turisti e dei pochi surfisti che sfidavano le onde e la loro presenza: mio figlio, un esperto surfista, mi aveva raccontato del suo incontro-scontro con uno di questi abitanti, esultando per il fatto che entrambi ne erano usciti illesi. La guida ci esortò a seguirla nell’edificio dove ci erano stati promessi un documentario nella “Education Room”, vari tabelloni con spiegazioni, informazioni e foto.
Memore delle escursioni scolastiche mi sono seduto nella sala un po’ scettico; ma, subito dopo le prime immagini, mi sono ricreduto sull’importanza delle informazioni che venivano fornite e sul professionalismo di chi aveva curato il documentario nonché il commentario. Ma io scalpitavo dalla voglia di uscire all’aperto e di vedere nel loro habitat naturale questi meravigliosi uccelli: i più grandi uccelli al mondo, con un’apertura alare di quasi tre metri e mezzo, dotati di un’incredibile abilità aviatoria – raggiungono centoventi chilometri orari – e di una resistenza straordinaria. Gli uccelli si accoppiano a settembre, nei mesi che seguono i genitori si alternano nell’incubazione dell’uovo e a febbraio, quando i neonati fuoriescono dal guscio, nell’alimentazione. A settembre i neonati sono pronti a spiccare il grande volo – ben nove mila chilometri fino all’America del Sud senza mai toccare terra; qui rimarranno sempre sull’acqua dai quattro ai sei anni per ritornare infine alla base e accoppiarsi di nuovo: gli albatri sono monogami. A settembre viene suonata nella città di Dunedin una campana speciale per annunciare ai cittadini il ritorno degli albatri; inutile sottolineare il rispetto che tutti hanno per il privilegio di ospitare tali creature, rispetto che trasmettono a chi visita la colonia.
Mentre uscivo dalla sala una signora attempata incominciò a declamare alle sue compagne di viaggio, in un accento molto British che mi fece pensare che fosse un’insegnante, i versi di Coleridge dalla sua Ballata del vecchio marinaio e a raccontare il significato di tale ballata:
“With my cross-bow
I shot the albatross.”
“Con la mia balestra,
Io ammazzai l’Albatro!”
L’avevo letta in traduzione quando ancora non conoscevo l’inglese e avevo colto la somiglianza con i versi di Baudelaire; la poesia parla delle funeste vicende di un marinaio resosi colpevole dell’uccisione dell’albatro catturato e torturato da vari marinai sulla tolda della nave. L’albatro è goffo e maldestro, oggetto di scherno; lui che, invece, quando è in volo domina con la sua regalità tutto ciò che gli sta sotto.
I versi di Baudelaire mi erano sempre stati cari, prima di tutto perché li avevo letti nell’originale e poi perché si avvicinavano ai tempi e alle sensazioni negli anni Sessanta quando la vita era una sfida, un invito a cambiare il mondo, a raggiungere mete impossibili. Tra le varie memorie che bussavano alla porta sentii le note di “Albatross” di Fleetwood Mac, un “instrumental” con la chitarra di Peter Green che ha lasciato il suo segno: era il 1968; Peter ci ha lasciato proprio quest’anno dopo una vita travagliata e dopo aver combattuto la droga, LSD, che ha influito sulle sue ultime composizioni; mi sembra doveroso salutarlo e augurargli buon viaggio da un luogo sicuramente a lui caro:
Farewell Peter Green; thank you for your music. As the albatross soars above me, I feel it appropriate to wish you a safe journey.
Era un pomeriggio molto caldo nonostante il vento forte che veniva dall’Antardide; mi ero perso nella mia rêverie e la guida mi si avvicinò preoccupata, forse perché mi ero avvicinato troppo alla staccionata che ci separava dal precipizio. Fui riportato alla realtà dal passaggio molto vicino di due enormi albatri: erano due esemplari della specie “Northern Royal”, tipici rappresentanti di questa colonia di Dunedin. Planavano silenziosi come due alianti, due surfisti che non avevano bisogno di un’asse per cogliere le correnti: quelle ascendenti di origine dinamica o quelle dovute ai cambi di pendenza delle coste. Li ammirai a lungo e decisi di non pensare al passato; questi uccelli erano lo spirito del futuro, la forza della volontà: quella di sopravvivere alle intemperie e di volare per tante migliaia di chilometri per mantenersi vivi e puri, al di sopra della terra, di questo coacervo di timori, di ossessioni dovuti alla recente pandemia, di sensi di colpevolezza per la mancanza di responsabilità civile e di rispetto per il prossimo. La loro presenza mi sembrò di buon augurio per affrontare il 2021.
Di ritorno sull’autobus, salutai nella lingua del loro paese la signorina francese e l’insegnante inglese esprimendo la soddisfazione per quello che si era visto e imparato; dissero rispettivamente:
“C’était très emouvant.”
“What a fantastic experience.”
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