Dote di 10 mila euro ai giovani

Il tesoretto ai diciottenni proposto da Enrico Letta. La prima risposta di Draghi. Il genio Makkox in Paradiso ereditario. In Italia se proponi di tassare i ricchi s’incazzano anche i poveri. Meloni e Salvini d’accordo con Draghi. La lotta di classe rovesciata: sono i ricchi a farla contro i poveri e la stanno vincendo. Invece per me quella di Letta è una proposta da sostenere.
 
Alla proposta di Enrico Letta sul tesoretto ai diciottenni da utilizzare per la “formazione, l’impegno in attività economiche, la possibilità di andare a vivere per conto proprio”, da finanziare con un aumento dell’imposta di successione per la parte di eredità superiore ai 5 milioni di euro, Mario Draghi ha risposto negativamente precisando che questo “non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli”. La prima risposta di Draghi lì per lì mi ha un po’ persuaso. Poi mi ha gelato e mi è venuto il sospetto che Draghi non sia quel genio politico che tutti, dal centro, da destra e da sinistra, ci vogliono far credere. Bensì un abile comunicatore politico che con quella battuta sfiora la demagogia. Lo dico con molto rispetto per il Presidente del Consiglio impegnato in un compito difficilissimo, e lo apprezzo molto anche come persona. Portare l’aliquota per lo scaglione superiore ai 5 milioni di eredità al 20% interesserà più o meno l’1% dei cittadini, ma anche meno.  Il filosofo Massimo Cacciari è d’accordo con Letta: “È una proposta che condivido in toto. Non è il momento giusto? Aspetteremo un mese, due mesi… Mi pare una manovra di una equità evidente, una manovra totalmente logica”. L’intento della proposta di Letta è proprio quello di “dare”. Però, pochi giornalisti sono andati oltre l’aspetto “prendere” della proposta e pochissimi hanno guardato al “dare”. Tra questi Alessandro Robecchi, uno dei commentatori più brillanti che ci siano in circolazione, sul Fatto Quotidiano del 24 maggio, ha scritto: “I beneficiari del ridisegno (ripeto: sacrosanto) sarebbero più o meno la metà dei diciottenni italiani (per modulo Isee), che incasserebbero 10 mila euro di bonus.”
 
Invece il sospetto che Marco Dambrosio, Makkox, “vignettaio”, sia davvero un genio l’avevo già da tempo e ne ho avuto conferma leggendo la sua ultima striscia, Paradiso ereditario, nella rubrica “Cronache da fuori” (L’Espresso, 30 maggio 2021).
Si vede un ragazzino che esulta: “Papà, hai sentito? Dice che appena compirò 18 anni lo Stato mi donerà 10 mila euro grazie all’imposta sulle eredità milionarie. Per noi che puzzamo de fame è un affare!” Il padre, in canottiera, ribatte: “No! È una truffa…” E spiega perché immaginando che, con quei 10 mila euro, il figlio arrivi ad aprire una botteguccia. Poi che, con gli anni, si ingrandisca e riesca a far nascere un’azienda di successo. Volando ancora con l’immaginazione dice: “Metti che tu investa i tuoi soldi, guadagnati onestamente con la tua azienda, in beni di lusso e proprietà…” Arrivato alla fine della tua vita, dice, vorrai lasciare tutto in eredità ai tuoi figli. E conclude la sua pippa ereditaria così: “Sai che succede? che su un patrimonio di 100 milioni di euro lo Stato se ne prende 20! E i tuoi figli devono ricominciare da zero con 80 milioni!” Il figlio così conclude: “Ah, quei famosi 10 mila erano un prestito a strozzo!”. La conclusione vera la tira un miliardario con la erre moscia che fuma comodamente seduto su uno yacht di lusso, e dice, rivolto ai suoi figli: “Vagazzi, ma quanto è bella l’Italia? Chi non ha il pane si pveoccupa che a noi non manchino bvioche”. E i figli: “Vero papà.” “Sì papà.” Morale del milionario: “V’abbiamo lasciato un paradiso.”
 
Ritornando all’articolo di Robecchi metto una frase paradossale a commento della vignetta di Makkox: “Impeccabile sintesi: siamo un Paese dove quando proponi di tassare i ricchi si incazzano anche i poveri.” Noi abbiamo avuto un miliardario come Presidente del Consiglio che eliminò la tassa di successione e tutti i figli dei miliardari italiani dicevano “Va bene papà”. Ma anche chi miliardario non era, perché le tasse non piacciono a nessuno. Chi si ricorda del coro di critiche contro Padoa Schioppa quando disse “Le tasse sono bellissime”?
La proposta di Letta ha riscaldato la destra: “Basta tasse!” “Attentato alla proprietà privata!” Lui ha ironizzato. “Vedo solidarietà diffuse a quell’1% per cento più ricco del nostro Paese”. Il Giornale ha fatto un titolone in prima pagina: “L’assedio dei comunisti.” Siamo sempre lì. Proporre un contributo nei passaggi di eredità dai cinque milioni in su per “dare” un gruzzolo ai giovani sui quali più di tutti grava l’enorme debito pubblico, così come prolungare di alcuni mesi il blocco dei licenziamenti vista la situazione drammatica, per la nuova destra italiana è propaganda bolscevica. Se ti azzardi a dire che la destra è animata da un’ideologia politica classista, bene che vada ti senti rispondere che sei un nostalgico fuori moda, un radical chic, perché la lotta di classe è finita da quel dì. Io qualche dubbio invece ce l’ho, penso che sia rovesciata: la fanno i più ricchi, gli intoccabili, contro i poveri e la stanno vincendo.
 
Ora faccio una digressione che può annoiare, ma non provare a riflettere. Non so dire se la storia è storia di lotta di classe, come hanno scritto Marx ed Engels nel Manifesto del Partito comunista. Forse Marx esagerava quando vedeva nella lotta di classe non solo la natura essenziale di ogni società, ma anche il suo motore programmato, l’elemento razionalizzatore del conflitto capace di far seguire alla società un percorso evolutivo. Oggi vediamo che tale motore non esiste e la lotta tra le classi è semplicemente una lotta costante non razionalizzabile, dall’esito incerto e mai consolidato come ogni conflitto. Anche il neoliberismo parte dal presupposto che la società abbia una sua razionalità intrinseca e vede tale motore razionale nel mercato che deve essere lasciato libero di agire secondo le sue logiche. Il neoliberismo non è la rappresentazione neutrale delle dinamiche sociali, ma è l’ideologia che sta accompagnando e rafforzando la superiorità delle classi più forti. Semplicemente si continua a vivere in una società classista come lo sono tutte le società e, in questo momento, i ricchi sono sempre più ricchi e più forti e la politica, che dovrebbe agire per riequilibrare tale divario e introdurre, questo sì, un elemento di razionalizzazione basato su criteri di equità e giustizia, è sempre più debole. Il neoliberismo avanza ancora a supporto delle classi economicamente più forti che stanno vincendo il conflitto, tradendo anche alcuni principi di quel liberalismo che è riuscito a incontrare i valori della democrazia e del socialismo. Penso che la proposta di Letta rientri nell’idea che la politica debba ridurre squilibri e disuguaglianze, che appartiene al filone liberal-democratico e a quello del cattolicesimo democratico. Letta non è un radicale anche se in un paese conservatore come il nostro può sembrarlo, ma un accademico moderato, pragmatico e riflessivo. Piuttosto che niente meglio il bonus, certo. Però il “gruzzoletto” finisce. Per me servirebbe qualcosa di più, per esempio: avere salari decenti, non restare precari a vita, non essere sfruttati. E, per ridurre il debito redistribuire la ricchezza, forse anche la tassa, temutissima da molti, che in Italia si chiama patrimoniale (la proposta di Nicola Fratoianni mi pare di buon senso, una buona base di discussione). Insomma, tornare a fare la classica “analisi di classe”, come un tempo. Per favore, perdonatemi se l’ho detto, lo so, sono demodé, siate liberali, astenetevi dalle offese.
 
Comunque sono rimasto colpito dalla proposta di Letta anche per alcune vicende davvero personali. Penso che la vera differenza che caratterizza le classi sociali nel nostro paese non sia il reddito, ma il patrimonio. Io ho vissuto con pochi soldi per gran parte della mia vita. Ma ho avuto la fortuna di avere alle mie spalle una famiglia con una capacità finanziaria non certo enorme, ma abbastanza solida da permettermi di studiare, comprare i libri che volevo, laurearmi, prendere una specializzazione, viaggiare. Appena compiuti diciotto anni, i miei mi comprarono un maggiolino Volkswagen verde alla guida del quale mi muovevo in libertà. Il mio primo grande viaggio da ragazzo l’ho fatto in Portogallo, un anno o due dopo la Rivoluzione dei Garofani, e mi aprì nuovi orizzonti. Io ho sempre fatto qualche lavoretto per cercare di essere indipendente, ma dalla famiglia ho sempre avuto un sostegno finanziario e anche dalla mia tata. Anni dopo, quando ero un insegnante precario in Lombardia, i miei genitori mi comprarono un’automobile nuova per maggior sicurezza nei miei spostamenti, mi pagavano l’affitto e di fatto mi permisero di vivere un anno con uno stipendio dato da loro. Quando poi dal Ministero arrivò il mio stipendio con tutti gli arretrati, i miei genitori non vollero essere rimborsati, così mi ritrovai a disposizione un piccolo capitale. Questo privilegio mi permise di compiere con tranquillità alcune delle scelte più importanti della mia vita. Seguire i miei interessi e i miei studi, continuare a viaggiare. Andare a vivere con la mia compagna, mettere al mondo una figlia. Quando mia figlia finì il liceo, appena diciottenne, incerta sulle sue scelte future, era decisa a prendere una pausa dagli studi, un “anno sabbatico” e andare in Australia, perfezionare l’inglese, viaggiare e lavorare qui e là in qualche fattoria. Ne parlammo, io ero perplesso su questo progetto e provai a convincerla che l’anno sabbatico era meglio se lo avesse preso alla fine dell’università, ma lei era bella tosta e pronta a partire subito. Allora accettammo questa sua decisione e il biglietto glielo comprammo noi genitori. Ripensandoci, penso che quella fu una decisione lungimirante.
 
Ma questo non succede alla maggior parte dei giovani italiani. Quando si nasce non siamo tutti uguali. Il livello economico delle famiglie determina in gran parte quello dei figli. Ho fatto l’insegnante per molti anni e a scuola questa ingiustizia è palese. La maggior parte dei diciottenni non ha a disposizione 10 mila euro per metter su casa, cominciare un’attività commerciale, prendere un biglietto aereo per volare agli antipodi. Essere figli significa essere eredi, essere orfani, trovare da soli la propria strada. L’eredità dei genitori tocca in sorte, senza alcun merito nel riceverla, verso quaranta, cinquanta o anche sessant’anni, fuori dal tempo in cui può davvero aiutare una persona a compiere scelte cruciali per la sua vita. Io penso che disporre di un piccolo capitale in gioventù può aiutare molti giovani a incardinare la propria esistenza. Qualcuno saprà farne un buon uso, qualcun altro lo sprecherà. Certo è che potrebbe servire a rendere la nostra società un po’ meno ingiusta, a ridare alla politica il suo ruolo di elemento razionalizzatore della società e a rendere l’Italia un po’ più vicina all’Europa. Sono grato a Enrico Letta per l’interesse che manifesta per i giovani, per aver posto all’attenzione della discussione pubblica, insieme allo ius soli e al voto ai sedicenni, anche il moderato inasprimento dell’imposta di successione per i grandi patrimoni per offrire un tesoretto ai diciottenni. Spero che Letta possa precisarla, che il Partito democratico la sostenga e che Draghi la accolga nella riforma fiscale.

Odellac Da Voce del Serchio 6 giugno 2021