Il tesoretto ai diciottenni proposto da Enrico Letta. La prima risposta di Draghi. Il genio Makkox in Paradiso ereditario. In Italia se proponi di tassare i ricchi s’incazzano anche i poveri. Meloni e Salvini d’accordo con Draghi. La lotta di classe rovesciata: sono i ricchi a farla contro i poveri e la stanno vincendo. Invece per me quella di Letta è una proposta da sostenere.
Alla proposta di Enrico Letta sul tesoretto ai diciottenni da utilizzare per la “formazione, l’impegno in attività economiche, la possibilità di andare a vivere per conto proprio”, da finanziare con un aumento dell’imposta di successione per la parte di eredità superiore ai 5 milioni di euro, Mario Draghi ha risposto negativamente precisando che questo “non è il momento di prendere i soldi ai cittadini ma di darli”. La prima risposta di Draghi lì per lì mi ha un po’ persuaso. Poi mi ha gelato e mi è venuto il sospetto che Draghi non sia quel genio politico che tutti, dal centro, da destra e da sinistra, ci vogliono far credere. Bensì un abile comunicatore politico che con quella battuta sfiora la demagogia. Lo dico con molto rispetto per il Presidente del Consiglio impegnato in un compito difficilissimo, e lo apprezzo molto anche come persona. Portare l’aliquota per lo scaglione superiore ai 5 milioni di eredità al 20% interesserà più o meno l’1% dei cittadini, ma anche meno. Il filosofo Massimo Cacciari è d’accordo con Letta: “È una proposta che condivido in toto. Non è il momento giusto? Aspetteremo un mese, due mesi… Mi pare una manovra di una equità evidente, una manovra totalmente logica”. L’intento della proposta di Letta è proprio quello di “dare”. Però, pochi giornalisti sono andati oltre l’aspetto “prendere” della proposta e pochissimi hanno guardato al “dare”. Tra questi Alessandro Robecchi, uno dei commentatori più brillanti che ci siano in circolazione, sul Fatto Quotidiano del 24 maggio, ha scritto: “I beneficiari del ridisegno (ripeto: sacrosanto) sarebbero più o meno la metà dei diciottenni italiani (per modulo Isee), che incasserebbero 10 mila euro di bonus.”
Invece il sospetto che Marco Dambrosio, Makkox, “vignettaio”, sia davvero un genio l’avevo già da tempo e ne ho avuto conferma leggendo la sua ultima striscia, Paradiso ereditario, nella rubrica “Cronache da fuori” (L’Espresso, 30 maggio 2021).
Si vede un ragazzino che esulta: “Papà, hai sentito? Dice che appena compirò 18 anni lo Stato mi donerà 10 mila euro grazie all’imposta sulle eredità milionarie. Per noi che puzzamo de fame è un affare!” Il padre, in canottiera, ribatte: “No! È una truffa…” E spiega perché immaginando che, con quei 10 mila euro, il figlio arrivi ad aprire una botteguccia. Poi che, con gli anni, si ingrandisca e riesca a far nascere un’azienda di successo. Volando ancora con l’immaginazione dice: “Metti che tu investa i tuoi soldi, guadagnati onestamente con la tua azienda, in beni di lusso e proprietà…” Arrivato alla fine della tua vita, dice, vorrai lasciare tutto in eredità ai tuoi figli. E conclude la sua pippa ereditaria così: “Sai che succede? che su un patrimonio di 100 milioni di euro lo Stato se ne prende 20! E i tuoi figli devono ricominciare da zero con 80 milioni!” Il figlio così conclude: “Ah, quei famosi 10 mila erano un prestito a strozzo!”. La conclusione vera la tira un miliardario con la erre moscia che fuma comodamente seduto su uno yacht di lusso, e dice, rivolto ai suoi figli: “Vagazzi, ma quanto è bella l’Italia? Chi non ha il pane si pveoccupa che a noi non manchino bvioche”. E i figli: “Vero papà.” “Sì papà.” Morale del milionario: “V’abbiamo lasciato un paradiso.”
Ritornando all’articolo di Robecchi metto una frase paradossale a commento della vignetta di Makkox: “Impeccabile sintesi: siamo un Paese dove quando proponi di tassare i ricchi si incazzano anche i poveri.” Noi abbiamo avuto un miliardario come Presidente del Consiglio che eliminò la tassa di successione e tutti i figli dei miliardari italiani dicevano “Va bene papà”. Ma anche chi miliardario non era, perché le tasse non piacciono a nessuno. Chi si ricorda del coro di critiche contro Padoa Schioppa quando disse “Le tasse sono bellissime”?
La proposta di Letta ha riscaldato la destra: “Basta tasse!” “Attentato alla proprietà privata!” Lui ha ironizzato. “Vedo solidarietà diffuse a quell’1% per cento più ricco del nostro Paese”. Il Giornale ha fatto un titolone in prima pagina: “L’assedio dei comunisti.” Siamo sempre lì. Proporre un contributo nei passaggi di eredità dai cinque milioni in su per “dare” un gruzzolo ai giovani sui quali più di tutti grava l’enorme debito pubblico, così come prolungare di alcuni mesi il blocco dei licenziamenti vista la situazione drammatica, per la nuova destra italiana è propaganda bolscevica. Se ti azzardi a dire che la destra è animata da un’ideologia politica classista, bene che vada ti senti rispondere che sei un nostalgico fuori moda, un radical chic, perché la lotta di classe è finita da quel dì. Io qualche dubbio invece ce l’ho, penso che sia rovesciata: la fanno i più ricchi, gli intoccabili, contro i poveri e la stanno vincendo.
Ora faccio una digressione che può annoiare, ma non provare a riflettere. Non so dire se la storia è storia di lotta di classe, come hanno scritto Marx ed Engels nel Manifesto del Partito comunista. Forse Marx esagerava quando vedeva nella lotta di classe non solo la natura essenziale di ogni società, ma anche il suo motore programmato, l’elemento razionalizzatore del conflitto capace di far seguire alla società un percorso evolutivo. Oggi vediamo che tale motore non esiste e la lotta tra le classi è semplicemente una lotta costante non razionalizzabile, dall’esito incerto e mai consolidato come ogni conflitto. Anche il neoliberismo parte dal presupposto che la società abbia una sua razionalità intrinseca e vede tale motore razionale nel mercato che deve essere lasciato libero di agire secondo le sue logiche. Il neoliberismo non è la rappresentazione neutrale delle dinamiche sociali, ma è l’ideologia che sta accompagnando e rafforzando la superiorità delle classi più forti. Semplicemente si continua a vivere in una società classista come lo sono tutte le società e, in questo momento, i ricchi sono sempre più ricchi e più forti e la politica, che dovrebbe agire per riequilibrare tale divario e introdurre, questo sì, un elemento di razionalizzazione basato su criteri di equità e giustizia, è sempre più debole. Il neoliberismo avanza ancora a supporto delle classi economicamente più forti che stanno vincendo il conflitto, tradendo anche alcuni principi di quel liberalismo che è riuscito a incontrare i valori della democrazia e del socialismo. Penso che la proposta di Letta rientri nell’idea che la politica debba ridurre squilibri e disuguaglianze, che appartiene al filone liberal-democratico e a quello del cattolicesimo democratico. Letta non è un radicale anche se in un paese conservatore come il nostro può sembrarlo, ma un accademico moderato, pragmatico e riflessivo. Piuttosto che niente meglio il bonus, certo. Però il “gruzzoletto” finisce. Per me servirebbe qualcosa di più, per esempio: avere salari decenti, non restare precari a vita, non essere sfruttati. E, per ridurre il debito redistribuire la ricchezza, forse anche la tassa, temutissima da molti, che in Italia si chiama patrimoniale (la proposta di Nicola Fratoianni mi pare di buon senso, una buona base di discussione). Insomma, tornare a fare la classica “analisi di classe”, come un tempo. Per favore, perdonatemi se l’ho detto, lo so, sono demodé, siate liberali, astenetevi dalle offese.
Comunque sono rimasto colpito dalla proposta di Letta anche per alcune vicende davvero personali. Penso che la vera differenza che caratterizza le classi sociali nel nostro paese non sia il reddito, ma il patrimonio. Io ho vissuto con pochi soldi per gran parte della mia vita. Ma ho avuto la fortuna di avere alle mie spalle una famiglia con una capacità finanziaria non certo enorme, ma abbastanza solida da permettermi di studiare, comprare i libri che volevo, laurearmi, prendere una specializzazione, viaggiare. Appena compiuti diciotto anni, i miei mi comprarono un maggiolino Volkswagen verde alla guida del quale mi muovevo in libertà. Il mio primo grande viaggio da ragazzo l’ho fatto in Portogallo, un anno o due dopo la Rivoluzione dei Garofani, e mi aprì nuovi orizzonti. Io ho sempre fatto qualche lavoretto per cercare di essere indipendente, ma dalla famiglia ho sempre avuto un sostegno finanziario e anche dalla mia tata. Anni dopo, quando ero un insegnante precario in Lombardia, i miei genitori mi comprarono un’automobile nuova per maggior sicurezza nei miei spostamenti, mi pagavano l’affitto e di fatto mi permisero di vivere un anno con uno stipendio dato da loro. Quando poi dal Ministero arrivò il mio stipendio con tutti gli arretrati, i miei genitori non vollero essere rimborsati, così mi ritrovai a disposizione un piccolo capitale. Questo privilegio mi permise di compiere con tranquillità alcune delle scelte più importanti della mia vita. Seguire i miei interessi e i miei studi, continuare a viaggiare. Andare a vivere con la mia compagna, mettere al mondo una figlia. Quando mia figlia finì il liceo, appena diciottenne, incerta sulle sue scelte future, era decisa a prendere una pausa dagli studi, un “anno sabbatico” e andare in Australia, perfezionare l’inglese, viaggiare e lavorare qui e là in qualche fattoria. Ne parlammo, io ero perplesso su questo progetto e provai a convincerla che l’anno sabbatico era meglio se lo avesse preso alla fine dell’università, ma lei era bella tosta e pronta a partire subito. Allora accettammo questa sua decisione e il biglietto glielo comprammo noi genitori. Ripensandoci, penso che quella fu una decisione lungimirante.
Ma questo non succede alla maggior parte dei giovani italiani. Quando si nasce non siamo tutti uguali. Il livello economico delle famiglie determina in gran parte quello dei figli. Ho fatto l’insegnante per molti anni e a scuola questa ingiustizia è palese. La maggior parte dei diciottenni non ha a disposizione 10 mila euro per metter su casa, cominciare un’attività commerciale, prendere un biglietto aereo per volare agli antipodi. Essere figli significa essere eredi, essere orfani, trovare da soli la propria strada. L’eredità dei genitori tocca in sorte, senza alcun merito nel riceverla, verso quaranta, cinquanta o anche sessant’anni, fuori dal tempo in cui può davvero aiutare una persona a compiere scelte cruciali per la sua vita. Io penso che disporre di un piccolo capitale in gioventù può aiutare molti giovani a incardinare la propria esistenza. Qualcuno saprà farne un buon uso, qualcun altro lo sprecherà. Certo è che potrebbe servire a rendere la nostra società un po’ meno ingiusta, a ridare alla politica il suo ruolo di elemento razionalizzatore della società e a rendere l’Italia un po’ più vicina all’Europa. Sono grato a Enrico Letta per l’interesse che manifesta per i giovani, per aver posto all’attenzione della discussione pubblica, insieme allo ius soli e al voto ai sedicenni, anche il moderato inasprimento dell’imposta di successione per i grandi patrimoni per offrire un tesoretto ai diciottenni. Spero che Letta possa precisarla, che il Partito democratico la sostenga e che Draghi la accolga nella riforma fiscale.
Odellac Da Voce del Serchio 6 giugno 2021
4 Comments
Non ho capito il tuo secondo lettore… Ma mi pare che abbia pienamente ragione, la colpa è sempre dei poveri e dei comunisti che gli danno man forte. … I poveri ricchi creano solo posti di lavoro e fanno miracoli. Io mi ricordo la Omsa sud aperta da un povero miliardario che mi pare si chiamasse Orso Mangelli. Prese svariati miliardi dallo Stato a fondo perduto, costruì l’azienda nel fermano che restò aperta quattro anni … Poi chiuse improvvisamente… Prima che i patti derivanti dal prestito statale venissero realizzati. Il povero ricco si tenne in tasca una buona parte del fondo perduto, così almeno dicono i maligni, ma vi assicuro che non è vero. Mille operai vennero licenziati e gli edifici costruiti, le strutture rivendute ad altre aziende. La colpa sicuramente fu di quei bolscevichi, degli operai sfaticati…
Io sono di quelle parti e lì ci sono miriadi di aziende, calzature borse capelli …. Aziende dove la gente lavora alla grande, con impegno e bene… I mille della Omsa probabilmente erano l’eccezione che conferma la regola. A proposito, di fatti come questi in Italia ne sono accaduti e ne accadono tutti i giorni … La colpa è di quegli sfaticati che ci lavorano, sicuramente gente di sinistra… Ops dimenticavo, oggi votano di tutto… Però sempre poveracci sono e quindi meglio non fidarsi…
Certo in America pagano le tasse molto meno che da noi, ma lì le pagano tutti, se non le paghi vai in galera… Pagando tutti si paga molto meno. Scusa Ovidio anche questa riflessione comunista ma mi è venuta… Mia sorella vive in Svizzera, pagano meno tasse, ma se uno non le paga non gli battono le mani o lo fanno presidente, non lo guarda più nessuno e nessuno vuole averci a che fare, è un ladro asociale e come tale lo trattano… Ma gli svizzeri sono svizzeri e io non ci vivrei mai… A volte mi chiedo come faccia mia sorella a viverci da tanti anni.
Una ultima cosa… Reddito di cittadinanza e detrattori… In Svizzera, dove non sono certo terribili mangiabambini bolscevichi, chi ha un reddito inferiore a 3600 franchi mensili, che l’ è il reddito netto minimo… Gli viene integrato dallo Stato. Se hai una pensione inferiore la integrano a quella cifra…. È vero che però se possiedi una casa, dopo morto lo Stato la vende e il ricavato va ad un fondo per i poveri.. Potrebbero integrarti quella cifra anche per quaranta anni comunque, anche se hai un appartamentino piccolissimo e anche se non possiedi niente.. Si chiama solidarietà sociale ma in Italia sembra vivano tutti in in altro mondo…
Giuseppe.
Credo che la proposta di Letta di introdurre una tassa sulle grandi eredità per poter fornire ai giovani meno abbienti una sorte di piccola dote in denaro sia importante non tanto per il suo risvolto pratico, forse troppo limitato, ma perché tocca alcuni nodi fondamentali dell’organizzazione della nostra società.
Il primo modo riguarda ciò che noi consideriamo come elemento fondamentale, costitutivo della nostra società. Possiamo considerare tale elemento da un lato l’individuo dall’altro la comunità. Sulla base di tale presupposto emergono modelli di società completamente diversi. Una società moderna, liberale e democratica non può non avere alla sua base che l’individuo, certo non l’individuo isolato, l’individuo self made man di robinsoniana memoria, ma l’individuo autonomo, libero, capace di muoversi razionalmente nella complessità che lo circonda. Troppo spesso l’individualismo è stato associato all’egoismo, al perseguimento degli interessi personali a danno del bene comune, dell’etica pubblica. Ma a ben guardare dall’altro lato troviamo il modello che privilegia la comunità a partire dalla famiglia. La società italiana è una società con forti caratteristiche di familismo in senso negativo, nel senso che vede quasi in contrapposizione famiglia e stato, del “tengo famiglia” che porta a mettere davanti a tutto l’interesse privato del gruppo di appartenenza, «un tratto che scaturisce dalla mancata creazione di un’ etica pubblica», come sostiene Paul Ginsborg, lo storico che ha studiato con grande attenzione il ruolo dell’ istituto familiare in Italia in relazione con lo Stato e la società civile. Nessuno mette in dubbio che la famiglia sia una struttura fondamentale della società, ma non può esserne l’elemento primario e se lo diventa l’individuo ne rimane schiacciato e con l’individuo perde forza la dimensione pubblica solidaristica in quanto la solidarietà (la fratellanza o la fraternità nel linguaggio dei padri delle moderne costituzioni) non può che essere il prodotto di scelte individuali. È per l’insieme di questi motivi che la proposta di Letta viene ad incidere sul primo nodo della società italiana, quello del ruolo preponderante del familismo e della fragilità dell’etica pubblica, del bene comune come finalità ultima dell’agire sociale.
Il secondo nodo riguarda invece un aspetto più vasto, quello della natura della comunità nazionale in cui ciascun individuo vive. Oltre alla famiglia, circondano l’individuo altre comunità, da quella professionale, a quella religiosa, a quella politica e così via; tutte queste comunità tendono a trasformarsi in gruppi di potere e ad assorbire al loro interno l’individuo nella sua totalità e ad annientarlo. La sopravvivenza di una società liberale, di una società civile aperta e di uno stato democratico è legata strettamente alla capacità dell’individuo di non farsi sopraffare, di utilizzare le comunità di appartenenza come risorsa, come proprio supporto essenziale senza lasciarsi inglobare da esse, cercando di far convivere senso di appartenenza e solidarietà anche oltre l’appartenenza. La sopravvivenza dell’individuo, la possibilità che il senso di appartenenza non lo assorba completamente all’interno di una qualche comunità ha come presupposto la possibilità che viene data a ciascuno di modificare le proprie condizioni di partenza, di ridurre le diseguaglianze che la comunità stessa produce, di poter usufruire di forme di mobilità sociale. Spetta allo stato garantire una giustizia redistributiva che non si esaurisca nella politica dei redditi ma riguardi anche tutto il complesso sistema delle chances sia di tipo materiale che culturale che possono rendere l’individuo autonomo e trasformarlo in cittadino, a partire forse dalla scuola. Senza tale giustizia redistributiva, la comunità è destinata a prendere il sopravvento sugli individui condannandoli a diventare ciò che la società in cui sono nati ha predisposto per loro. È evidente che l’eredità familiare è qualche cosa che è strettamente legato a questo discorso perché, oltre certi limiti, l’eredità familiare è uno strumento di conservazione delle strutture comunitarie così come sono. Destinare una parte delle risorse ereditarie a creare un sistema di redistribuzione di chances per i giovani potrebbe quindi essere un elemento di una strategia politica strettamente legata alla dimensione liberal-democratica della società. Poco hanno a che fare con una politica del genere il socialismo e il comunismo, come invece alcuni critici della proposta vogliono far credere.
Molto probabilmente le critiche più insidiose saranno quelle rivolte contro tale proposta in nome della difesa della famiglia presentata come luogo in cui si rafforzano i legami tra generazioni. Anche in questo caso si tratta di intendersi su che su che cosa si intende per legame tra generazioni. Una cosa è il legame esclusivo con i propri figli e un’altra cosa è il legame tra generazioni intese come parti di una società libera, aperta e democratica. Certamente dobbiamo partire da che cosa intendiamo come comunità e che cosa come senso di appartenenza ad una comunità. È indubbio che senza senso di appartenenza, senza questo legame, le comunità, anche quelle liberali e democratiche, sono destinate a morire in quanto sono deboli i legami esclusivamente di tipo giuridico o razionale. Basta guardare cosa sta accadendo all’Europa cui mancano i presupposti per la manifestazione di un vero e proprio senso di appartenenza capace di unire cittadini europei al di là della propria dimensione nazionale o regionale. L’Europa è un’istituzione cui manca un’anima: non ha un esercito, non ha nazionali sportive, non c’è una lingua comune e tutto ciò ha un peso nel rendere l’Europa una comunità debole dal punto di vista dell’appartenenza, debolezza che si ripercuote sul piano politico soprattutto quando tendono ad emergere i problemi, nel momento in cui ci sarebbe bisogno di sentirsi solidali. Ma per riflettere sull’identità bisogna anche tener presente che essa è il prodotto di due dimensioni, una componente casuale e una componente culturale. Ciascuno nasce uomo, donna, omosessuale, bianco, nero, ricco, povero e ciò determina una parte fondamentale della sua identità, è un presupposto ineludibile. Ciascuno non è semplicemente un essere umano ma è un uomo, una donna, un omosessuale, un italiano, un francese, un ricco, un povero. Ma se ci si arresta a ciò, l’identità rimane incompleta. La nostra identità è un complesso intreccio tra vari elementi che rimandano non solo a ciò che è identico ma anche alle differenze che ci circondano e in cui siamo immersi in prima persona, che sono dentro di noi. L’identità prende forma con riferimento non solo alla specificità ma anche all’universalità, non solo all’unicità ma anche alla pluralità e all’alterità. È necessario quindi un equilibrio tra questi diversi elementi, un equilibrio che può nascere soltanto affiancando al senso di appartenenza una dimensione riflessiva, scettica, razionale. Il riconoscimento della casualità degli elementi fondamentali dell’identità dovrebbe portare alla consapevolezza della necessità di coniugare appartenenza e riconoscimento dell’altro, specificità e universalità che dovrebbero generare tolleranza ed empatia. Spetta alla politica facilitare questa consapevolezza e creare strumenti per far sì che ciò che il caso produce non diventi un destino. La comunità non è solo appartenenza ma anche spazio condiviso che deve essere costruito, negoziato e aperto; all’interno di tale spazio gli individui devono potersi muovere, devono poter modificare ciò che il loro atto di nascita ha decretato. Il senso di appartenenza non è un orpello inutile ma può diventare una micidiale arma di conservazione se la politica non introduce strumenti di equilibrio, non facilita processi di negoziazione, di mediazione, di redistribuzione delle risorse tra tutti i cittadini. Certamente possiamo discutere se è il momento opportuno per lanciare la proposta di una tassa sulle grandi eredità a favore dei giovani all’interno di una pandemia che ha messo in ginocchio l’economia, ma è anche evidente che prima o poi dovremmo affrontare il tema del debito pubblico, del costo delle riforme, e allora non possiamo non riconoscere la razionalità della proposta di Letta anche nell’ottica di smantellare i preconcetti nei confronti della tassazione, preconcetti che scaricano sulle tasse il peso maggiore dell’ingiustizia sociale quando invece tale peso dovrebbe essere distribuito tra corruzione, clientelismo, evasione fiscale, inefficienza, sprechi, privilegi; nessuna riduzione di tasse renderà la società più giusta e più equa se non si affrontano anche tutti gli altri elementi che la rendono ingiusta.
massimocec giugno 2021
6/6/2021 – 14:52
I buoni propositi “non” dovrebbero essere…
AUTORE: Bruno della Baldinacca (alias Bruno Baglini)
…viziati dalle appartenenze politiche altrimenti la “famosa” onestà intellettuale va a farsi friggere.
Porto due esempi: Matteo Renzi PdC secondo altri dava mancette elettorali dando 10 miliardi l’anno ricavati da meno tasse ai lavoratori con meno di 1.500 euro mensili e vedendo nello specifico si trattava e si tratta di giovani e donne.
Quando è toccato ad altri governare sia di destra o PD-5* gli 80 euro di sgravio fiscale son diventati 100 e credo non siano stati tolti i 500 euro per i 18enni e prof da spendere in cultura così come la quattordicesima a 2 milioni di pensionati al minimo e non ci fu una “finalmente domenica” ad elencare; così come l’assegno unico del ministro Bonetti.
1° Parlare alla pancia si arriva a segno facilmente.
Il PdC Conte dette la chiave per accedere al terrazzino del suo palazzo perchè i pentastellati del suo governo andassero a declamare la fine della povertà per aver dato il reddito di cittadinanza.
Con il senno di poi se quei miliardi li davano alle aziende che assumevano, ora c’era qualche giovane in più che si era formato, pagava le tasse come tutti i lavoratori ed il suo futuro era meno incerto.
2° i cosiddetti “padroni” un tempo erano padroni di tutte le terre emerse e l’eredità era come nei reami, di padre in figlio anche se il figlio a quei tempi avendo il sangue blu per forza doveva continuare la dinastia…poi son arrivati i Valletta ed i Marchionne e quindi la “possibiltà” che ognuno di noi potesse arrivare alla posizione apicale senza eredità si è fatta reale.
3* …si dice: non ha fatto niente per ereditare quella fortuna! nel caso della bandita Salviati era cosi; ma ora non sempre! dei 54 mezzadri non ne è rimasto “punti” la legna da ardere è stata sostituta dal gas Algerino e Russo quindi il valore commerciale dei 10.000 ettari della tenuta non è quello di 50/70 anni fa e che mai a quei tempi un duca si sarebbe acchinato a raccogliere un soldo perso per terra.
4* si dice che il lavoro nobilita l’uomo e quindi; ora anche “i nobili” lavorano come gli umani e che anche i ricchi debbono piangere non porta a niente; anzi gli ultimi dirigenti comunisti cinesi han detto: arricchitevi ed in poco tempo 180 milioni di cinesi sono usciti dalla fame (della serie: chi vuol Cristo se lo preghi)
5* lavorare in azienda agricola e/o industriale ed in continua trasformazione (le “ere” al tempo dell’antinonno duravano 200 anni, ora son ridotte a 10 se non 5 e dopo 30/40 anni di lavoro con i predecessori al momento del cambio (per forza maggiore) il sig. Enrico Letta spalleggiato da “Frà Toianni” decidono (deciderebbero) che bisogna fare come in America con la tassa di successione e perchè no con le tasse di tutti i giorni? che i nostri cugini americani pagano regolarmente il 15% (quindici) in meno!?
Eh si, si fa presto a dire bertinottianamente; lavorare 35 ore e riscuoterne 40…provate o voi con l’imbianchino; ho verniciato 4 stanze ma me ne devi pagare 6.
Riepilogando (non sono l’economista Luigi Marattin) ma non vorrei che il salasso forzoso poi si riducesse in egual misura con il taglio dei dipendenti aziendali.
piesse: ho esperienza lavorativa e sindacale Federbraccianti di uno “scioperone” come usavano negli anni /65-69. Di 800mila piante innestate, al nostro rientro in azienda dopo parecchi giorni, un terzo erano morte e le altre “mendie” e la stessa fine la fecero i 32 dipendenti; un terzo furono estromessi e i più “mendii” per età ed acciacchi decisero “volontariamente” di coltivare il proprio orticello nei pressi di casa loro.
bona.
7/6/2021 – 20:14
Proposte giuste
AUTORE: Tiziano
Grazie, mi ha fatto molto piacere leggere il tuo articolo. Lo condivido ed è stato piacevole leggere anche la parte biografica.
Non sono sicuro che Letta possa essere definito un “accademico moderato”, non lo conosco sufficientemente; comunque le idee di tassare le successioni oltre i 5 milioni, lo ius soli e consentire di fare votare i sedicenni sono (anche per me) proposte giuste.
Spero che il PD si spenda maggiormente per le questioni del lavoro e dell’ambiente.
Grazie di nuovo.