Documentare è l’attività intellettuale (e non solo intellettuale) che differenzia forme di pensiero che apparentemente si somigliano come quelle del raccontare o dell’immaginare nell’ambito dell’attività artistica e di quella scientifica. Raccontare, ad esempio, è la forma con cui si presentano le opere letterarie di narrativa e la storia. Ma la loro somiglianza riguarda solo la forma.
Tale somiglianza però, insieme al fatto che non è possibile in ogni caso una ricostruzione oggettiva del passato, ha indotto alcuni storici, primo tra tutti Hayden White, ad accostare il racconto letterario a quella storico anche dal punto di vista del contenuto, presentandoli come entrambi prodotti dell’immaginazione. Se così fosse, se non ci fosse differenza tra racconto letterario e racconto storico, le conseguenze sarebbero disastrose. Non ci sarebbe alcun argine a qualsiasi forma di revisionismo, a partire dal negazionismo di stragi, dell’Olocausto, di genocidi. Ma così non è e l’analogia formale non coincide con l’analogia dei contenuti di pensiero.
Lo storico Carlo Ginzburg, figlio di Leone Ginzburg e di Natalia Ginzburg, allievo alla Scuola Normale di Pisa di Delio Cantimori, si è battuto e si batte contro questo pericoloso accostamento dimostrando che dietro la somiglianza della forma ci stanno due modi di costruire il racconto molto diversi. La differenza principale sta nella tipologia di retorica che viene utilizzata. Il racconto storico utilizza la retorica aristotelica che ha al suo centro il concetto di prova e si basa sulla struttura argomentativa. La narrazione storica, talvolta nascosta dalla forma espositiva, una struttura argomentativa ed l’argomentazione a sua volta ha le sue fondamenta nella prova, nella presenza di elementi linguistici ed extra linguistici che possono rendere se non vere alcune affermazioni, certamente false altre. L’Essere anche nella sua forma di essere stato, di passato, lascia tracce e sono queste tracce che vanno cercate, confrontate, sottoposta a critica per poter argomentare.
Documentare è quindi un’attività essenziale per tutte quelle forme di pensiero che cercano di catturare aspetti dell’essere, anche quando questa ricerca si materializza in prodotti dell’immaginazione come avviene anche per la ricerca scientifica nel momento in cui elabora ipotesi e teorie.
Documentare è una sorta di gara tra il soggetto che indaga e l’Essere che ama nascondersi, camuffarsi, giocare a nascondino, una gara senza fine in cui nessuno dei due riesce a vincere definitivamente perché da una parte l’Essere non riesce a celarsi completamente e dall’altra il soggetto che indaga non riesce a svelare modo oggettivo e completo l’Essere. Il pensiero cerca continuamente di stanare l’Essere, di andare oltre ciò che dell’Essere ci appare introducendo lo strumento del possibile mentre da parte sua l’Essere si nasconde, si rivela solo in parte (si pensi al fatto che secondo il fisico Tonelli noi conosciamo solo il 5% del mondo fisico). Qualsiasi tentativo di afferrare definitivamente l’Essere è destinato al fallimento perché ci sono comunque parti dell’essere che il pensiero non riesce ad afferrare. Documentare è fornire prove per sostenere una teoria, una certa narrazione del passato, una ricostruzione dei fatti che serve al giudice per emettere una sentenza, una lotta tra il pensiero che tende ad afferrare ciò che non è pensiero, alterità, e l’Essere che resiste alla forza raffigurativa e narrativa del pensiero.
Documentare però non è solo la sfida ma è anche una sorta di cerniera tra pensiero ed Essere, una cerniera costituita dal linguaggio che traduce l’Essere in una forma comprensibile dal pensiero, anzi nelle forme che il pensiero utilizza per comprendere: le parole, i numeri e le immagini. La traduzione delle prove nel linguaggio comporta un’ulteriore difficoltà in quanto la prova, il dato spesso non linguistico, non è immediatamente utilizzabile entro una procedura argomentativo-narrativa. Ancor più quando la prova è un’immagine, una fotografia. La fotografia sembra essere una modalità per documentare l’Essere estremamente sicura. Sembra essere un pezzo di realtà che viene fissato nella memoria della macchina o sulla pellicola o sulla lastra. Ma, come tutte le prove, niente di più falso di una autenticità immediata perché anche l’immagine, comunque realizzata, anche l’immagine prodotta da un meccanismo semiautomatico come quello della macchina fotografica, è un prodotto linguistico, un prodotto di quello specifico linguaggio che chiamiamo rappresentazione. Alla base dell’immagine fotografica c’è comunque uno “stare per” l’elemento di realtà e una traduzione da un sistema all’altro.
Anche il linguaggio delle immagini, la sua sintassi, il suo vocabolario, le sue modalità di presentazione della realtà includono anche la possibilità di mentire oltre alla possibilità di selezionare, scegliere, vedere le cose da un certo punto di vista.
Tutte le fotografie sono insieme una traccia è una ricostruzione della traccia stessa e perciò lette, codificate e interpretate. Come ogni prova, per poter funzionare, hanno bisogno di un apparato critico; non basta dire: “guarda qui” oppure “questa è la prova”. Vanno collocate in un contesto, collegate con chi le ha prodotte, vanno presi in considerazione gli scopi per cui sono state prodotte, gli eventuali committenti, le convenzioni stilistiche e culturali vanno soprattutto messe a confronto con altre prove e altre fonti. Chi si occupa di narrare storia deve agire, per riprendere la metafora di Ginzburg, come un investigatore che mette insieme gli indizi che ha trovato per ricostruire un fatto, per rintracciare un senso, e questo senso non è arbitrario, alcuni legami tra le tracce non funzionano, vengono rifiutati dall’Essere stato.
Documentare è quindi un’avventura, un’impresa del pensiero umano che rimanda alla sua natura corale, alla sua propensione a portare avanti un confronto senza fine con l’Essere che sfugge, si nasconde, si trasforma e nello stesso tempo si rivela nei modi più inaspettati, talvolta poetici, altre volte tragici, altre volte ancora epici di fronte a quell’impresa che chiamiamo conoscenza. Alla fine, però sembrerebbero aver ragione Hayden White e i suoi seguaci perché tutto questo sforzo sembra partorire solo in topolino, un granello di verità. Ma quel topolino è importante, è il topolino che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri viventi perché topolino dopo topolino, accumulando ma anche rovesciando tutto quanto era stato accumulato e riprendendo ad accumulare, è riuscito ad distinguersi dall’Essere pur continuando a rimanerne parte.
massimocec settembre 2021
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