Auckland, 25 marzo 2020
L’amico Ovidio mi aveva scritto nella mail chiedendo questo mio ricordo: “Così quest’anno l’anniversario, qui da dove ti scrivo, lo ricorderai tu, lì da dove ci scrivi.”
Caro Ovidio, tengo a ringraziarti per questa tua generosa offerta, voi siete a Vecchiano ma Antonio è anche qui, agli antipodi dove il 25 arriva prima.
Nel 1991 Antonio Tabucchi si recò a Melbourne da dove lo invitai a venire a Auckland, ma non fu possibile a causa di altri suoi impegni. Dai colleghi australiani ebbi il suo numero di fax; scrissi ad Antonio rammaricandomi per la mancata visita e chiedendogli se sarebbe stato possibile un incontro in Italia dove mi sarei recato il seguente marzo. Ricevetti una risposta con invito e numero di telefono di casa sua.
Arrivato a Pisa feci la telefonata; fu Antonio a rispondermi e a invitarmi a pranzo; mi trovavo in Piazza Sant’Antonio, e da lì Antonio Tabucchi mi spiegò quale corriera prendere per Vecchiano. Durante il viaggio in corriera continuai a pensare a quello che mi era appena successo, al fatto che ero completamente sprovvisto di informazioni sull’autore di cui avevo letto solo Piazza d’Italia.
Antonio mi accolse a braccia aperte e con un gran sorriso nel giardino di casa sua con una coppa di champagne in mano; già mentre mi avvicinavo al cancello mi arrivava un buon profumino di qualcosa alla brace: gamberoni alla griglia. Antonio mi aveva subito messo a mio agio, passando al “tu”; non credevo alle mie orecchie, mi trovavo in compagnia di un grande scrittore e ci davamo del tu. Si parlò di tante cose; passata la mia iniziale trepidazione, grazie alla cordialità di Antonio, ebbi il coraggio di chiedergli un consiglio sulla relazione che avrei dovuto fare a un congresso dal titolo “Letteratura e gastronomia” da tenersi a Melbourne l’anno dopo e per il quale c’era la richiesta tassativa di trattare testi dalla narrativa contemporanea. Confessando con grande imbarazzo la mia ignoranza su altri suoi scritti, chiesi se aveva scritto qualcosa che mi potesse essere utile per l’occasione.
Antonio si alzò dal tavolo verde, spostando “gatta”, così si chiamava la sua bella micia che approfittò per accomodarsi sul mio grembo. Quando rientrò guardò con soddisfazione che “gatta” mi aveva accettato e mi porse un libro dicendo: “Guarda, di questo sono appena arrivate poche copie con il corriere della Feltrinelli; il libro non è ancora in libreria ma qui troverai tutto quello che ti serve per la tua relazione, letteratura e cucina, portoghese si intende.” Il libro era Requiem al quale Antonio fece la prima di tante dediche che seguirono per tutti i libri di cui mi fece omaggio. Inutile dire che scrissi e pubblicai quella relazione, mandandola prima ad Antonio che, molto gentilmente, la lesse e corresse anche qualche refuso, con mio grande imbarazzo.
Il nostro rapporto epistolare – a base dei fax che l’amico Massimo scriveva – continuò fino all’agosto del 1994 quando ritornai a Pisa per l’anno sabbatico.
Andai a trovare Antonio che stava per partire per il Portogallo e, quando seppe che stavo in albergo mentre cercavo casa per la famiglia che sarebbe arrivata a ottobre, insistette che mi fermassi a casa sua, che mi sistemassi nel suo studio e che facessi come se fosse casa mia. Rimasi un mese a casa di Antonio, grato della sua generosa ospitalità e di quel feeling reciproco che si era instaurato tra noi due fin dal primissimo incontro; oramai ero conosciuto come “l’amico” di Antonio, titolo di cui andavo fiero e che portai con grande discrezione.
Il 1994 era l’anno di Sostiene Pereira , l’anno in cui vissi da vicino con Antonio molti incontri a cui era continuamente invitato a parlare; l’anno in cui Remo Ceserani mi chiese, dicendo proprio “visto che tu sei l’amico di Antonio”, di collaborare alla sua collana, “Il passo del cavallo”, con una monografia su Antonio e uno studio di Sostiene Pereira. Misi da parte l’edizione critica di un inedito del Cecchi, commediografo del Cinquecento piuttosto noioso, e mi dedicai interamente al compito assegnatomi; grazie alla collaborazione di Antonio in primis, dell’ufficio stampa della Feltrinelli a Milano che mise a mia disposizione tutto quello che era apparso sui giornali su Antonio, la monografia fu pubblicata in quell’anno; la prima copia la consegnai ad Antonio in compagnia di Massimo in un baretto nel centro di Pisa e da quel giorno, scherzosamente, Antonio mi chiamò il suo esegeta.
Quell’anno vinse tutti i premi letterari coronado il suo successo con il Supercampiello. L’avevo accompagnato a Venezia; dopo la premiazione la signora Inge Feltrinelli mi invitò alla cena ufficiale. Dopo cena, sul pontile da dove i taxi ci avrebbero riportato ai nostri alberghi – Antonio al “Danieli”, io a un alberghetto molto più modesto – Antonio mi si avvicinò e, con il suo sorriso vincente, mise nelle mie mani il cofanetto del premio e disse: “Bruno, per favore, riportalo a casa; domani io mi metto in viaggio e quando torno lo riprendo: mi fido di te”. Il bel cofanetto rimase sulla mensola nel tinello di casa mia per molte settimane e poi lo riportai ad Antonio a Vecchiano.
* Bruno Ferraro ha insegnato letteratura italiana presso università australiane per vari anni e completato la sua carriera accademica all’università di Auckland in Nuova Zelanda, dove tutt’ora risiede.
Foto: Tabucchi e Ferraro con il Supercampiello, anno 1994.
da La Voce del Serchio 25 marzo 2020
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