Queste foto rappresentano uomini e donne che sono si sono riuniti in una piccola comunità per pregare. Potrebbero essere testimonianza della religiosità di questa comunità.
Ma si può fotografare la religiosità?
Quando Scianna pubblicò il suo libro “Feste religiose in Sicilia” nel 1965 il suo libro fu recensito dall’Osservatore Romano e fu criticato perché il giornale del Vaticano “non apprezzò” quella sorta di “antropologico paganesimo” che emergeva dalle fotografie che costituiscono uno dei più celebri libri della storia della fotografia italiana. Il recensore cercò di far passare le foto di Scianna come fotografie artistiche e perciò prive di valore documentario. Scianna rispose che “che artista sarà stato lui, visto che per lui era una specie di insulto…”. Ancora Scianna riferisce che il recensore
“[…] replicò che la religiosità non era fotografabile. Ne convenni. Aggiunsi che la difficoltà non mi inquietava; se non potevo fotografare la religiosità, l’infelicità, l’imbecillità, mi sarei contentato di fotografare gli uomini, religiosi o no, gli infelici, gli imbecilli. Si seccò.”
Al di là delle polemiche, ci si può chiedere se e come la religiosità può essere fotografata, così come la bellezza, la verità e così via. Io credo che possano essere fotografati, come dice Scianna, solo gli uomini, le cose, gli oggetti. Sembra banale ma non lo è. Per secoli la filosofia ha tenuto un atteggiamento di disprezzo nei confronti di ciò che vediamo, tocchiamo, percepiamo. Senza tutto ciò non solo non esisterebbe la fotografia ma non esisterebbero neppure quegli oggetti astratti di cui parliamo forse con troppa reverenza.
La religiosità, come tante altre cose, è solo negli uomini e nelle donne che vivono la loro vita e nel viverla la condividono. Più i concetti sono astratti più è difficile definirli. Forse ha ragione Wittgenstein quando dice che dietro questi concetti non ci sono elementi chiari e ben delimitati ma solo “somiglianze di famiglia”. Non ci sono essenze da far emergere a sostegno del significato di questi termini, ma anche di altri meno astratti. Che cosa significa ad esempio il termine gioco? Inutile cercare elementi comuni a tutti i giochi. Se si afferma che è essenziale al gioco il divertimento potremmo chiederci se è divertente il gioco degli scacchi? O la roulette russa? Se ancora diciamo che è essenziale al gioco il vincere o il perdere, chiameremmo ancora gioco il girotondo?
Ciò che accomuna i giochi è un insieme non definibile di somiglianze «una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono ed incrociano a vicenda».
E questa rete è il prodotto di azioni, di comportamenti, di giochi creati all’interno di forme di vita. Dobbiamo andare a cercare gli elementi che costituiscono le reti per parlare dei concetti astratti, e per parlare di religiosità, o per descriverla attraverso la fotografia come ha fatto Scianna, dobbiamo parlare di e fotografare uomini e donne mentre giocano i loro giochi, mentre pregano, mentre celebrano i loro riti.
Si può parlare della bellezza perché gli uomini dicono che alcune cose sono belle, perché le guardano e le indicano e concordano nei loro giudizi.
Si può parlare della religiosità perché gruppi di uomini e donne si trovano intorno ad un fuoco, insieme ad un sacerdote, per pregare. Grazie a loro forse si può fotografare la religiosità di una piccola comunità come quella di Castagnola e anche chi non crede può vedere la religiosità attraverso questi uomini e queste donne, attraverso i loro geti, le loro parole, il loro abbigliamento. E se cercassi qualcosa d’altro, l’essenza della religiosità, che si può partecipare ai riti senza condivedere l’essenza della religiosità? Qui ci troviamo di fronte ad un ostacolo insuperabile , è come se volessimo sapere se Dio esiste oppure no.
Ciò che si può fare è cercare di affrontare la questione sul piano della conoscenza sia di tipo sociologico, sia storica, anche se tutto ciò non aiuterà a rispondere alle domande cruciali che sono destinate a rimanere senza una risposta. Su Internet si possono trovare queste informazioni sulla Madonna del Pianto di Massa:
“La tradizione della “Madonna del Pianto”, la cui effigie è posta nell’abside della chiesa di Castagnola, frazione del comune di Massa (MS), è inserita nella storia della gente castagnolese. La “Madonna del Pianto” è diventata simbolo e identità del paese e, ancora oggi, continua a rappresentarlo. Ad oltre 350 anni dalla sua lacrimazione, rimane ancora molto sentita la devozione, e continua ad incidere sentimenti mariani anche nelle nuove generazioni. Il culto dell’effigie iniziò nel novembre del 1648 quando l’immagine, dipinta nel 1589, e posta ad un incrocio tra Via Castagnola di Sopra e Via Petroniano, due vie principali del paese di Castagnola, lacrimò. Le lacrime furono asciugate con un fazzoletto da una donna che passava sulla strada, che la tradizione le affida il nome di “Mattana”. A partire da questo evento, i capofamiglia del territorio castagnolese chiesero e ottennero dal Vescovo di Luni-Sarzana – Diocesi sotto la quale ecclesialmente dipendeva il territorio di Massa e Carrara – l’edificazione di un piccolo oratorio in cui potessero collocare la “maestà ” raffigurante la Madonna col bambino Gesù, che assunse da quel momento il titolo di “Madonna del Pianto”. Con atto notarile gli stessi capofamiglia si impegnarono a sostenere le spese occorrenti per l’edificazione dell’oratorio e, in seguito, impegnarono i loro eredi ad abbellirlo e renderlo sempre più adeguato ad un luogo di culto. La costruzione dell’edificio termina nel 1654.
Nel susseguirsi degli anni aumentò la popolazione castagnolese e di conseguenza anche il culto, così nacque una confraternita il 31 gennaio 1775 sotto il nome di Maria SS.ma che contava 381 iscritti e l’oratorio venne eretto a Curazia autonoma e definiti i confini il 20 dicembre 1776 dal vescovo di Luni, Mons. Lomellini.
Il 18 febbraio 1822 la Curazia passò, insieme alle altre parrocchie del territorio, alla Diocesi di Massa.
Fin quando nel 1855 insorse in tutta Europa un’epidemia di colera che non risparmiò il granducato di Toscana. Le preghiere alla Madonna del Pianto della gente castagnolese risparmiarono dal morbo l’intero paese, che festeggiò il fatto con un triduo di ringraziamento alla Madonna del Pianto e restaurando la Curazia, costruendo un altare in marmo al di sopra del quale fu collocata l’immagine.
Il 24 marzo 1864 la confraternita rinnovò la costituzione acquisendo il nuovo nome di SS.mo Sacramento, che tuttora esiste. Nel Settembre del 1875 iniziarono i lavori per la costruzione della seconda navata, dedicata alla Madonna Addolorata, che terminarono nel 1886. Nel 1887 la Curazia contava 1400 anime e 341 famiglie.
Nel 1904 fu costruito il battistero e iniziò l’amministrazione del sacramento del Battesimo. Nel 1927 fu costruita la terza navata dedicata al Sacro Cuore di Gesù. Il 24 giugno 1941 la Curazia fu eretta a parrocchia e nel 1948, terminati i restauri post-bellici, la chiesa acquistò l’aspetto che oggi conserva e l’immagine della Madonna del Pianto venne traslata nella sede attuale, cioè nella parte superiore dell’abside.
Non essendo a conoscenza del giorno di novembre in cui lacrimò, e non essendo il mese autunnale propizio per feste all’aperto, la festa negli anni fu spostata al Lunedì dopo la Pentecoste. Oggigiorno la festa è molto sentita con una processione il sabato e veglia di preghiera la domenica precedenti alla festa. Nel 1874 il curato don Belloni Tommaso compose la preghiera alla “Madonna del Pianto” che ancora oggi i castagnolesi recitano alla fine della messa per tutto il mese di maggio.”
Che cosa hanno aggiuntole fotografie e le informazioni alla domanda su che cosa è la religiosità? Rimane però il piacere di una tranquilla serata accompagnato dalla momentanea e illusoria sensazione di far parte di una comunità, di essere in grado di condividere con altri qualcosa di indefinibile e inafferrabile, sensazione che svanirà non appena il fuoco si spegnerà.
massimocec agosto 2017
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