Una serata d’inverno in una Pietrasanta popolata da strani personaggi, da misteriosi oggetti collocati in contesti improbabili, da materializzazioni delle visioni surrealistiche della realtà. Negozi deserti, prospettive inaspettate nelle serate di una cittadina come questa, generalmente piena di gente che si agita in cerca di non so che cosa, percorsa attraverso le persone che la animano di sera da una sorta di esibizionismo altezzoso. Lo strano caldarrostaio con due calici di vino posati accanto al suo carretto che ti portano a domandarti ma lo fa per vivere o per sopravvivere, le guardie di pietra che sorvegliano il Duomo in attesa di chissà quale personaggio, la chiesa piena di oggetti che ricordano un po’ Matisse e i suoi quadri cancellano questa immagine negativa e ti fanno riconciliare con il luogo. Sembra di aver varcato la porta di un mondo che non ti appartiene. Ma è solo un attimo. Tutto torna ben presta alla normalità e solo la macchina fotografica conserva nitidi quegli istanti. Il mio ricordo non ci riesce. Mi rimane il piacere ogni tanto di poter richiamare in vita questi ricordi quando guardo le mie fotografie. Ma forse ricordo con maggior intensità e con un po’ di nostalgia una Pietrasanta che non esiste più, la Pietrasanta dei miei primi anni di insegnamento, il ristorante da Sci, una sorta di bettola dove si mangiava in cucina e a cucinare era una cuoca enorme che si muoveva con agilità tra padelle, pentole, tegami. E al bar, per così dire, il solito gruppetto di uomini con davanti un bicchiere di vino o un caffè corretto.
massimocec novembre 2011
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