Non avevo mai fotografato in teatro durante uno spettacolo. Ero intimorito. Appena è calato il buio e sul palcoscenico si è accesa la luce ho provato a fare una prima foto. Sentivo distintamente il rumore della macchina fotografica che faceva il suo lavoro incurante del luogo e della situazione. Ogni clic mi sembrava un atto di irriverenza, un gesto offensivo verso il silenzio e il buio che mi circondavano. Poi i clic sono spariti dal mio spazio sonoro e le foto si sono susseguite una dopo l’altra. Ombra e luce però si alternavano in continuazione senza lasciarmi il tempo di decidere come scattare. Sul teatro poi gli attori si muovevano in continuazione e riuscire a catturarli con l’obiettivo era come tentare di colpire quegli strani oggetti che al luna park si muovono in fila uno dietro l’altro nel baraccone del tiro al bersaglio, anzi peggio perché i movimenti dei personaggi sul palcoscenico erano imprevedibili. Una sofferenza.
Mi piacevano sia il titolo che il tema: “IN VIAGGIO, drammaturgia corale liberamente ispirata ai Dieci Comandamenti”, “IN VIAGGIO è una riflessione ironica e irriverente sulle contraddizioni, i limiti, le debolezze, gli eccessi e la follia di una umanità trasandata perennemente in cammino, profughi di un mondo paradossale. Le storie che i viaggiatori raccontano sfuggono al controllo della razionalità e si abbandonano agli istinti più veri, più umani. Lo studio del laboratorio teatrale per spettatori consapevoli prende il via dall’analisi di quelle leggi morali, sociali, familiari, religiose e quindi umane insite nel significato più ampio e universale dei dieci comandamenti biblici. Tutto ciò non per giudicare gli eccessi dell’uomo di oggi ma per realizzare un affresco speculare che ha l’obiettivo di strappare un sorriso consapevole.”
Volevo cercare, ingenuamente, di ricostruire fotograficamente lo spettacolo, di raccontare la serata e il contenuto almeno di una parte dello spettacolo. Quello che è rimasto del mio lavoro sono alcuni volti colti in espressioni curiose, forse significative, ma slegate tra loro; frammenti di un discorso che non è possibile ricostruire nel suo svolgimento. Continuo a chiedermi se la fotografia senza la parola può raccontare, se veramente ha qualche fondamento il luogo comune che un’immagine è più efficace di mille parole. La fotografia mi attrae, ma ho continuamente bisogno di parole per decifrare e leggere quello che l’immagine comunica. Nonostante ciò quei volti, quegli istanti congelati e sottratti al fluire del tempo dello spettacolo, della successione continua e fluida di eventi e immagini della recita davanti al pubblico. Anche le foto riescono a comunicare, a evocare ma solo altri elementi, altre sensazioni, altre emozioni rispetto a quelle trasmesse grazie all’illusione del teatro, alla dimensione spazio temporale della recita.
Solo con una serie di scatti consecutivi forse è possibile ricostruire l’ordine temporale del racconto, ma a quel punto siamo entro lo spazio di un’altra tecnologia, del video. Anche in questo caso forse ha ragione Bob quando dice che la fotografia ha i giorni contati. Spero di no.
Quello che comunque rimane del mio lavoro, le fotografie dello spettacolo teatrale, è una sorta di illusione di secondo livello. Al primo livello troviamo infatti l’illusione creata dallo spettacolo, la messa in scena di racconto con un proprio tempo narrativo che invita lo spettatore ad abbandonare consapevolmente il mondo reale in cui è immerso per entrare in un mondo nuovo, creato artificialmente per evocare sentimenti emozioni, pensieri, idee, riflessioni. Al secondo livello, quello in cui è collocata la fotografia, il referente diventa lo spettacolo con i suoi personaggi, i suoi momenti congelati dalla macchina fotografica. È una nuova forma di illusione in cui il fotografo costruisce un mondo nuovo che fa riferimento allo spettacolo e non al suo contenuto. Il fotografo crea quindi un terzo mondo che ha come referente la realtà dello spettacolo, il teatro, i personaggi, il buio, la luce, talvolta il pubblico. Scardina in qualche modo l’illusione di primo livello, la rivela per quel che è e ne crea una nuova.
La differenza tra fotografia e teatro (e tra fotografia e cinema) non è legata al rapporto con la realtà ma piuttosto al rapporto con il tempo. La fotografia tende ad annullare il tempo a congelare il singolo attimo materializzando la traccia lasciata dalla luce, il teatro e il cinema si sviluppano nel tempo. Anche la fotografia però è caratterizzata dalla indeterminatezza, dalla vaghezza e non certo dalla precisione e dalla fedeltà al reale.
massimocec febbraio 2012
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