Le foto presenti in questa pagina ritraggono Pisa vista dall’alto, un alto che è costituito da un terrazzino collocato sul tetto di uno dei più bei palazzi pisani sui lungarni, il palazzo che ospita l’Hotel Victoria.
Salire le scale di quest’austero palazzo dopo aver preso accordi con il portiere, incontrare per le scale turisti che sono, per così dire, a casa loro in questo aristocratico albergo, turisti che appaiono così diversi da te che sei lì quasi come un estraneo, ti fa sentire fuori luogo, ospite tollerato e impacciato. Nello stesso tempo ti sembra di essere un privilegiato come quando, studente, andavo a teatro e riuscivo con qualche espediente a trovare un posto in platea o in un palchetto invece che nell’affollato loggione. L’impressione è la stessa, uscire dalla folla che si accalca per accaparrarsi un posto sulle panche del loggione e uscire dal fiume di persone che occupa le vie del centro, collocarsi in una posizione più favorevole, circondato da uno spazio che tutela la tua riservatezza, il bisogno di lavorare senza dover rispondere a qualcuno, senza interferenze.
Una volta arrivati sul terrazzo ci si rende conto di essere veramente in un luogo privilegiato che consente allo sguardo e all’obiettivo, anzi agli obiettivi, di scoprire oggetti nuovi, punti di vista normalmente inaccessibili. Gli sguardi sono molteplici anche perché ciascun obiettivo crea un suo punto di vista. Il nitido grandangolare che allarga quasi senza limite l’ampiezza dello sguardo e riesce a catturare ampi spazi costruendo tra i vari elementi della foto rapporti che creano una suggestiva sensazione di profondità. L’aggressivo teleobiettivo che si dimostra invadente, ai limiti della sopportabilità, quando si rivolge verso finestre e balconi.
La sensazione strana che si prova, una volta saliti sul tetto, è legata al fatto che è necessario abituarsi al cambio di prospettiva, abbandonare la familiare consuetudine di guardare verso l’alto, come invece si è costretti a fare nelle vie del centro se si vuole abbandonare l’ossevazione passiva del distratto passeggiatore preso dai suoi pensieri. Gli occhi e l’obiettivo ora sono rivolti verso il basso e gli oggetti appaiono come ingabbiati in uno stretto tunnel, quello dello sguardo a volo d’uccello. Il rovesciamento di prospettiva provoca un leggero straniamento subito compensato però dai profili dei campanili visti con l’occhio dell’adulto che può utilizzare uno sguardo orizzontale e non con quelli del bambino che è costretto a guardare in su per vedere tali oggetti in una prospettiva in cui il campanile incombe e si nasconde.
Oltre i tetti, il profilo delle Alpi Apuane appare prima appena delineato e poi, a mano a mano che la sera si avvicina, più netto, quasi un disegno impresso nel cielo luminoso o in quello color pastello della luce del tramonto. I volumi dei palazzi che si affacciano sull’Arno e il tortuoso letto del fiume che attraversa Pisa come una vena di sangue scuro che scorre sotto la pelle occupano gran parte dello sguardo,uno sguardo interrotto dai ponti, dalla timida bianca presenza della Chiesa della Spina che si nasconde dietro un’ansa e dal profilo irriverente della Cittadella che si stacca da tutto il resto e conquista il centro dell’attenzione. La città sembra una massiccia distesa di tetti, un granitico ammasso di mura, e il verde si vede solo in lontananza. Gli orti e i giardini che sono sparsi per tutto il centro, orti e giardini di cui è nota l’esistenza, sono nascosti in invisibili anfratti . Seguendo il profilo della massiccia superficie aerea della città, continua come un bassopiano increspato dalle onde petrose, si scopre Piazza dei Cavalieri che dal terrazzino sopra il palazzo dell’hotel sembra un cratere, una voragine che si apre nel centro della distesa di tetti.
Attraverso questo occhio privilegiato che si apre pigro e solitario sulla città però si possono cogliere comunque il movimento, l’animazione, la vita quotidiana che è rimasta giù, lungo le strade e nelle piazze. Si può addirittura cogliere anche quel poco di movimento che si riversa sul fiume, un luogo che una volta era forse il centro della vita economica della città e ora tutt’al più è un luogo frequentato dagli sportivi e dai rari turisti che abbandonano i consueti e stracolmi itinerari cittadini per tentare una improvvisata escursione su una zattera a motore o una bevuta al bar sul greto del fiume.
massimocec marzo 2012
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