L’ANNO DI VIOLA
Gli anni Sessanta, nel nostro immaginario collettivo, rappresentano gli anni della rivoluzione: culturale, sociale, politica, musicale e, naturalmente, sessuale. Si tratta di trasformazioni radicali che riescono a spaccare l’Italia in due anime: da un lato, quella conservatrice e “bigotta”, dall’altro, quella proiettata verso l’organizzazione di una nuova società orientata al progresso e all’uguaglianza sociale.
Questo paradosso, sempre più evidente nella seconda metà del decennio, si radicalizza nel 1966, rivelando tutte le contraddizioni e le ambiguità caratterizzanti la penisola. L’Italia di quell’anno è governata dal secondo Esecutivo di Aldo Moro, una coalizione formata da Dc, Psi, Psdi, Pri e, poco dopo, il 24 febbraio, si costituirà il terzo governo Moro, con una alleanza pressoché simile. Tuttavia, la politica condotta all’interno delle mura di Palazzo Chigi non rispecchia il fermento e la voglia di cambiamento che animano l’altra Italia, quella che vive e si organizza fuori dai palazzi del potere.
Anche la letteratura cerca di esprimere tutto il disagio per una società stagnante, perbenista e tradizionalista, cha ha come unica possibilità di salvezza un cambiamento radicale. Il Premio Strega viene vinto dal campano Michele Prisco con Una spirale di nebbia, edito da Rizzoli. L’autore, anticipando i tempi, esplora e descrive le dinamiche interpersonali di una famiglia napoletana, mettendo in luce l’assordante disgregazione di una borghesia accecata da un boom economico contraddistinto da un inarrestabile e accessibile benessere, che, nonostante ciò, si sta rivelando sempre più fittizio e ingannevole.
Sanremo è vinto da Caterina Caselli con una canzone che rappresenta ancora oggi, per le giovani generazioni, un inno alla parità di genere: Nessuno mi può giudicare. In questo brano la cantante, seppur in modo non del tutto consapevole, rompe con una tradizione musicale contraddistinta da ritornelli melensi e intrisi di una “mascolinità tossica” che dominano la maggior parte delle “canzonette” trasmesse alla radio o incise su 45 giri, che gli italiani e le italiane sono abituati/e ad ascoltare e consumare. Caselli, con i suoi capelli a caschetto, il suo abbigliamento e il suo stile espressivo, canta di quelli che, pochi anni più tardi, saranno i temi al centro delle rivendicazioni dei movimenti femministi e di autodeterminazione delle donne. Infatti, sebbene il femminismo non si sia ancora affermato come movimento di massa, affonda le sue radici proprio nel lungo decennio degli anni Sessanta. La cantante incarna una figura di ragazza lontana dai rigidi dettami a cui sono sottoposte le donne della società italiana del secondo dopoguerra: rivendica la propria autonomia decisionale, il diritto di scegliere cosa le piace e, soprattutto, chi le piace, senza che nessuno possa giudicare o recriminare le sue scelte. «Ognuno ha il diritto di vivere come può, per questo una cosa mi piace e quell’altra no» (Nessuno mi può giudicare, Pace, Panzeri, Beretta, Del Prete, 1966).
Tale atteggiamento appare rivoluzionario in un’Italia che, nella sua neonata Repubblica, ha mantenuto il Codice penale di matrice fascista – il Codice Rocco del 1930 – che, attraverso il Titolo IX Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume, consentiva l’estinzione della pena per stupro, violenza o ratto nei confronti di una minore tramite il matrimonio riparatore. Inoltre, il Titolo X Dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe, abrogato solo nel 1978 con la legge 194, e la legge sul diritto di famiglia, codificata nel 1942 e modificata solo nel 1975 con la legge 151, continuavano a imporre norme fortemente restrittive nei confronti delle libertà personali femminili.
È un’Italia in fermento, dunque, quella di questi anni, in cui il cambiamento e la trasformazione, portati avanti da giovani coraggiosi e coraggiose, iniziano a scalfire e far tremare quella struttura benpensante e conservatrice che rappresenta l’anima più stagnante del paese, come accennato in precedenza.
È quanto accade nel freddo febbraio milanese, quando due ragazzi e una ragazza del liceo classico Parini, frequentato dai figli e dalle figlie della borghesia di Milano, vengono portati al Palazzo di Giustizia dopo essere stati denunciati per un’inchiesta uscita sul loro giornale scolastico, «La Zanzara», edito dal 1945 con l’intento di promuovere il confronto e stimolare il pensiero critico tra studenti e studentesse del liceo. Ciò che turba i ricchi benpensanti milanesi sono i temi trattati nell’inchiesta: vengono intervistate diverse ragazze della scuola, in forma anonima, su questioni di grande attualità come i rapporti e le esperienze prematrimoniali, l’uso della pillola, le dinamiche familiari, l’autorità paterna e la parità di genere. Quello che emerge è una realtà in movimento, distante dai comportamenti normati e rigidi che la società si aspetta soprattutto dalle ragazze, dalle giovani donne. L’episodio è emblematico e mostra quanto questa generazione avesse bisogno di nuovi spazi e di instaurare relazioni autodeterminate e libere.
La denuncia e l’arresto del piccolo gruppo studentesco diventano subito un caso mediatico, coinvolgendo varie personalità, sia politiche che intellettuali, che espressero le proprie opinioni fino al giorno dell’udienza, quando i giovani studenti vennero assolti. Questo evento passerà alla storia come “la prima manifestazione politica degli studenti in Italia”.
È un Italia in mutamento quindi quella del 1966, e il fermento l’attraversa tutta, da nord a sud.
Franca Viola è una giovanissima ragazza che vive ad Alcamo, in provincia di Trapani, dove la mafia è una presenza radicata nella vita quotidiana delle persone. Filippo Melodia, nipote di Natale Rimi, uomo legato a Cosa Nostra, si innamora di Franca, allora quindicenne, e la chiede in sposa; il padre della ragazza, Bernardo Viola, ex mezzadro e all’epoca piccolo proprietario terriero grazie alla riforma agraria, acconsente all’unione. Tuttavia, Filippo, accusato di furto e associazione mafiosa, è costretto a fuggire in Germania per un certo periodo per sfuggire alla giustizia. La famiglia Viola, quindi, considera rotto il fidanzamento, ma quando Filippo torna ad Alcamo, pretende nuovamente di sposare Franca, ricevendo però un fermo rifiuto da parte di Bernardo. La reazione di Filippo è violenta: fa bruciare la casa dei Viola, distrugge il loro vigneto e un campo coltivato, e minaccia con una pistola il padre di Franca. La ragazza, consapevole della situazione, continua ad opporsi al matrimonio. Filippo decide quindi di rapirla, la preleva con la forza dalla sua casa e la tiene prigioniera per diversi giorni in una proprietà della famiglia Melodia, dove subisce ripetute violenze da parte del ragazzo. Solo il 6 gennaio 1966, la polizia riesce a localizzare la casa, liberare Franca e arrestare Filippo e i suoi complici. Melodia comunque non è preoccupato, perché, come molti altri uomini nell’Italia dell’epoca, conta sull’articolo 544 del Codice penale, che prevede l’estinzione del reato di stupro e rapimento in caso di matrimonio tra aggressore e vittima. Il matrimonio riparatore avrebbe infatti risolto il caso a suo favore, ma Franca e la sua famiglia rifiutano questa forma di “giustizia” e decidono di portare avanti la loro battaglia legale contro Melodia e i suoi conniventi, per i quali la legge italiana, a matrimonio contratto, prevede l’estinzione della pena.
La Sicilia degli anni ’60 è una realtà complessa, ma una ragazza di 15 anni, con il sostegno della sua famiglia, sfida i rigidi dettami culturali radicati nella società, dettami che regolano la vita delle persone, e in particolar modo delle donne. Il gesto di Franca Viola è un atto di protofemminismo: cerca di autodeterminarsi e rivendicare il controllo sul proprio corpo, rifiutando che lo Stato o gli uomini decidano al suo posto. Melodia viene infine condannato ad undici anni di carcere, ma per l’abrogazione dell’articolo 544 e delle altre norme del Titolo IX del Codice penale, si dovrà attendere fino al 1981.
Cosa rivelano questi episodi della realtà italiana degli anni ’60? Sono lo specchio di una società in fermento, in cui giovani e soggettività diverse cercano di trasformare un sistema che disciplina e controlla le loro vite, rendendole schiave di una società immobile, classista e sessista. È uno scontro generazionale in cui i giovani si oppongono ai loro genitori, cresciuti sotto un regime che tentava di normarne i comportamenti e controllarne le idee. La protesta e la richiesta di cambiamento si esprimono attraverso l’azione politica, il mutamento sociale e anche la musica. E a sprovincializzare l’Italia contribuiscono anche i movimenti culturali provenienti dall’Inghilterra, dalla Francia e dalla Germania. Gli “zazzeruti” della beat generation daranno infatti vita a un altro famoso inno in quel 1966, «sarà una bella società fondata sulla libertà, però spiegateci perché se non pensiamo come voi ci disprezzate, come mai? Ma che colpa abbiamo noi…» (Che colpa abbiamo noi, Mogol, Lind, 1966).
Caterina Carpita
Bibliografia essenziale
| Indice | C’era una volta in Italia | Gli anni Sessanta | Gli anni Settanta |
| 1960 | 1961 | 1962 | 1963 | 1964 | 1965 | 1966 | 1967 | 1968 | 1969 |
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