SE NON C’ERAVATE, VI VERRÀ VOGLIA DI SAPERNE DI PIÙ
Ho appena finito di leggere il bel libro di Enrico Deaglio e Ivan Carozzi C’era una volta in Italia. Gli anni Sessanta e confesso che la sensazione è proprio quella di voler approfondire, perché io sono tra quelli che in quel periodo ancora non erano nati.
La frase sulla quarta di copertina è rivelatrice di un desiderio che sento il bisogno di soddisfare, anche perché su quegli anni ho nozioni piuttosto superficiali. E come sanno bene gli storici, l’ignoranza del passato non si limita a danneggiare la conoscenza del presente, ma compromette nel presente l’azione stessa.
Tento allora un esperimento per me ancora inesplorato, ma che mi incuriosisce molto. Interrogo l’intelligenza artificiale di Chat Gpt, che mi saluta con un cordiale “Salve umani, sono un Chatbot AI alimentato da GPT 40 mini, chiedimi qualsiasi cosa”. Gli chiedo di raccontarmi il 1965 e il Chatbot esegue.
Mi spiega che quello è stato un anno cruciale nella storia mondiale, caratterizzato da eventi significativi in vari ambiti, dalla politica alla cultura, dalla scienza alla musica. Questo periodo ha visto l’emergere di movimenti sociali, innovazioni tecnologiche e cambiamenti culturali che hanno lasciato un’impronta duratura. Nel 1965, gli Stati Uniti erano profondamente coinvolti nella guerra del Vietnam, un conflitto che avrebbe avuto ripercussioni enormi sulla società americana. Le proteste contro la guerra avevano iniziato a guadagnare slancio, con manifestazioni che chiedevano la fine del coinvolgimento militare. Questo periodo aveva segnato anche l’inizio di un’intensa lotta per i diritti civili, con figure come Martin Luther King Jr. che guidavano marce e manifestazioni per l’uguaglianza razziale. Il Voting Rights Act, approvato nel marzo di quell’anno, aveva rappresentato un passo fondamentale nella lotta per i diritti degli afroamericani. Il 1965 è stato anche un anno d’oro per la musica. La British Invasion continuava a dominare le classifiche, con i Beatles e i Rolling Stones che conquistavano il pubblico mondiale. L’album Rubber Soul dei Beatles, pubblicato a dicembre, aveva segnato una svolta nella musica pop, introducendo nuove sonorità e testi più profondi. Anche la musica folk stava vivendo un momento di grande popolarità con artisti come Bob Dylan, che affrontavano temi sociali e politici nelle loro canzoni.
In campo scientifico, il 1965 ha visto importanti progressi. La NASA continuava i suoi programmi spaziali, preparando il terreno per le future missioni lunari ed è stato anche l’anno in cui è stata lanciata la prima sonda spaziale automatica, la Mariner 4, che ha inviato le prime immagini di Marte, aprendo nuove frontiere nell’esplorazione spaziale. In conclusione, è stato un periodo di grande fermento e trasformazione. Le lotte per i diritti civili, le innovazioni musicali e i progressi scientifici hanno contribuito a plasmare il mondo moderno, segnando l’inizio di una nuova era in molti aspetti della vita quotidiana.
Il quadro che si delinea è interessante, ma ancora un po’ generico. L’intelligenza artificiale, in questo caso, non ha soddisfatto in pieno le mie aspettative. Provo ad affinare un po’ la ricerca cercando in rete ed emergono altre informazioni.
La poesia e la letteratura beat si sviluppano in Italia a partire dal 1965, anno in cui esce in Italia per Mondadori la prima edizione di Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg nella traduzione di Fernanda Pivano, una raccolta di poesie che offre uno sguardo profondo nella vita e nella cultura del poeta. Il libro è una testimonianza importante della poesia statunitense del ventesimo secolo, particolarmente consigliato a chi ama la cultura beat degli anni Sessanta.
Il 17 febbraio 1965 nasce a Roma il Piper Club, la discoteca più famosa di Roma e nel giugno dello stesso anno, sempre a Roma, viene fondata la rivista settimanale di informazione e critica musicale Big, che ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo del beat in Italia.
E, anche se non c’entra niente con il beat, il 30 aprile 1965 nasce a Torino Giuseppe Culicchia, uno dei miei scrittori preferiti e una tra le voci più autentiche della narrativa italiana degli ultimi anni. Fu scoperto da Pier Vittorio Tondelli, che aveva pubblicato alcuni suoi racconti nell’antologia Papergang Under 25.
Apprendo tutte queste notizie con profondo interesse, ma vorrei ascoltare anche il ricordo di un vissuto personale.
Così provo a interrogare l’intelligenza naturale. I miei genitori, classe 1946, in quell’anno c’erano e avevano più o meno vent’anni. L’intervista a mio padre si risolve piuttosto velocemente: mi racconta di aver avuto un brutto incidente in moto proprio nel 1965 e di aver passato l’intero anno bloccato a letto con una gamba ingessata. Mia mamma invece è un fiume in piena e inizia a parlarmi della sua vita di giovane donna in un piccolo paese della Sardegna: la scuola, gli amici, la vita in famiglia insieme ai genitori e alle sorelle. – Mamma, ma non ti viene in mente qualche episodio successo proprio nel 1965? – Fa uno sforzo e col pensiero prova a focalizzare. Si ricorda che in paese c’era molta preoccupazione per il fenomeno del banditismo, che in quegli anni funestava la regione, ma non è sicura che fosse proprio il 1965. Non importa. È stata una chiacchierata lunga e intensa, un bel viaggio a ritroso nel tempo.
Intreccio le memorie, quelle artificiali e quelle naturali, e il racconto comincia a prendere corpo in maniera più definita. Certo, continuo a sentire la mancanza di un’esperienza diretta che mi permetta di capire a fondo quegli anni.
Riprendo in mano il libro di Deaglio e Carozzi. Della lettura sul 1965 mi ha colpito in modo particolare il paragrafo dedicato a Lisetta Carmi, di cui fino a oggi non avevo mai sentito parlare. Vorrei approfondire e scopro che, dal 23 ottobre 2024 al 30 marzo 2025, a Palazzo Ducale a Genova, c’è questa bella mostra dal titolo Molto vicino, incredibilmente lontano. Sul sito della Fondazione si legge che “in occasione del 100 anni dalla nascita di Lisetta Carmi Palazzo Ducale presenta una grande mostra dell’artista e fotografa genovese, che nel corso della sua vita ha avuto il coraggio di percorrere vie diverse dando sempre voce agli ultimi”.
Decido di partire per Genova alla scoperta di questa figura così affascinante. Annalisa Cesarina Carmi nasce a Genova nel 1924 da una famiglia borghese di origine ebraica. Frequenta le scuole a Genova, ma nel 1938, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali fasciste, viene espulsa dal liceo e si dedica completamente allo studio del pianoforte diventando un’affermata concertista. Il 30 giugno 1960 decide di partecipare allo sciopero di protesta indetto dalla Camera del lavoro di Genova contro la convocazione in città del sesto congresso del Movimento sociale italiano, nonostante la ferma opposizione del suo maestro di pianoforte, preoccupato che la sua integrità fisica possa essere compromessa in caso di scontri. – Ricordo benissimo di avergli risposto che se le mie mani erano più importanti del resto dell’umanità avrei smesso di suonare il pianoforte-. Da quel momento lascia la musica per dedicarsi completamente alla fotografia.
Nel percorso espositivo a Palazzo Ducale ho ammirato scatti inediti riemersi dall’Archivio Carmi, la cui custodia è stata affidata a Giovanni Battista Martini, curatore della mostra insieme a Ilaria Bonacossa. Sarà deformazione professionale, ma sono convinta che gli archivi siano allo stesso tempo custodi di memoria e paladini di resistenza, luoghi dove storie alternative e soggetti imprevisti prendono forma, atti politici di immaginazione di un pensiero nuovo. E l’Archivio di Lisetta Carmi non fa eccezione.
Mi colpisce da subito l’allestimento della mostra, articolato per filoni tematici su muri di rete metallica a cui sono agganciate le fotografie. All’inizio ci sono quelle scattate in Italia agli esordi della carriera, quando ancora la fotografia non era la sua occupazione professionale.
Nel 1965 Lisetta Carmi realizza un reportage in Sardegna, luogo che amerà profondamente e in cui tornerà spesso negli anni seguenti. Mentre scorro con lo sguardo le immagini appese al muro mi torna in mente il racconto di mia mamma, che accompagna il percorso come una didascalia immaginaria. E ho la sensazione di chiudere idealmente un cerchio, trovando il giusto equilibrio tra verità storica, racconto personale e esperienza diretta.
Alla fine del percorso è esposta anche la celebre serie I travestiti, che ho scoperto leggendo il libro di Deaglio e Carozzi. Le fotografie, scattate a partire dal 1965 a colori e bianco e nero, raccontano la storia di questa comunità nel ghetto di Genova senza alcun moralismo, lasciando al pubblico la libertà di guardare e comprendere, invece di giudicare.
Esco da Palazzo Ducale sicuramente arricchita da questa esperienza. Ripenso a quel lontano 1965, di cui ho provato a cogliere il senso attraverso la lettura di testi, i ricordi di chi l’ha vissuto e l’esperienza della mostra. E ho la conferma che, se la storia è prima di tutto la scienza degli uomini nel tempo, non si può prescindere dalla comprensione del presente mediante il passato e viceversa.
Per dirla con le parole di un grande storico francese:
«Noi giudichiamo troppo. È comodo gridare “A morte!”. Non comprendiamo mai abbastanza. Chi è diverso da noi – straniero, avversario politico – passa, quasi necessariamente, per un cattivo. Anche per condurre le lotte che non si possono evitare, un po’ più di intelligenza delle anime sarebbe necessaria; a maggior ragione, per evitarle, quando si è ancora in tempo. La storia, purché rinunci alle sue false arie da arcangelo, deve aiutarci a guarire da questo difetto. Essa è una vasta esperienza delle varietà umane, un lungo incontro fra gli uomini. La vita, come la scienza, ha tutto da guadagnare dal fatto che questo incontro sia fraterno».
March Bloch, Apologia della storia, 1949
Cristina Marinari
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