Nell’anniversario della fucilazione di Lorca, all’inizio della guerra civile spagnola, lo ricordiamo con una sua poesia, nella speranza che poi venga la voglia di conoscere di più il suo autore e di leggere ancora qualcosa della sua opera.
Il diciannove di agosto millenovecentotrentasei Federico García Lorca, poeta, musicista, pittore e drammaturgo, fu assassinato presso Granada dai gendarmi franchisti.
Un gruppo di amici mi ha invitato a una serata in suo ricordo dove ognuno di noi legge una sua poesia. Per caso ne ho trovata una che ritagliai da un giornale dieci anni fa e la depositai tra le pagine di un mio quaderno per metterla al sicuro, come un bene rifugio. Si intitola “Casida de las palomas oscuras”. Mi piace partecipare a un ricordo di García Lorca con le sue parole, per me oscure come le colombe del titolo della poesia, e non è colpa del caldo. Il significato profondo penso sia ignoto non solo a noi che oggi leggiamo un classico come Lorca, ma forse anche al suo stesso autore nel momento in cui la scriveva, quasi che fosse soltanto una mano che scrive sotto dettatura di qualcosa, non so dire cosa. Leggiamo la traduzione del breve testo, ventidue versi in tutto.
Federico García Lorca
da Diván del Tamarit (1934)
Qasida delle colombe oscure
Tra i rami dell’alloro
Vidi due colombe oscure.
Una era il sole,
l’altra la luna.
“Commarelle”, gli dissi,
“dov’è la mia sepoltura?”
“nella mia coda”, disse il sole.
“Nella mia gola”, disse la luna.
E io che stavo camminando
con la terra alla cintura
vidi due aquile di neve
e una ragazza nuda.
Una era l’altra
e la ragazza era nessuna.
“Aquilette”, gli dissi,
dov’è la mia sepoltura?”
“Nella mia coda”, disse il sole.
“Nella mia gola”, disse la luna.
Tra i rami dell’alloro
Vidi due colombe nude.
Una era l’altra
e le due erano nessuna.
La pubblicazione era a cura di Walter Siti, accompagnata da qualche dato, poche caratteristiche tecniche e un “commento alla buona, parlando come viene, anche dei classici, senza timori reverenziali e accademici (…). Cercando di trovare in ogni testo qualcosa che sia emozionante qui e ora con qualche sfacciataggine”.
Una prima versione del testo, con qualche variante, si intitolava Canzone. Divan in arabo significa Canzoniere. Il Diván del Tamarit è una raccolta scritta da Lorca poco prima di morire, a trentotto anni, e pubblicata postuma nel 1940. Il Diván è attraversato dalla sofferenza dell’erotismo, con titoli che si richiamano “all’amore disperato e all’amore che non si lascia vedere”, avverte Siti.
A una prima lettura la poesia sembra un nonsense infantile. Non a caso è dedicata proprio a un bambino “A Carlo Guillen, bambino in Siviglia”, figlio dell’amico e poeta Jorge Guillen e allievo di Francisco García Lorca, fratello di Federico. Eppure, che gran poesia questa poesia senza logica, misteriosa, oscura, con gli uccelli che parlano e si trasformano: le colombe diventano aquile e alla fine sono nude e si sciolgono.
Nei versi iniziali le colombe oscure sono il sole e la luna, principio maschile e femminile. Stanno l’uno accanto all’altra tra i rami dell’alloro. Poi incontrano due aquile, forti e delicate come la neve e una ragazza nuda. Le due colombe possono sciogliersi l’una nell’altra “e la ragazza era nessuna”, sparisce.
Nei due versi finali il categorico principio di identità è saltato: “Una era l’altra / e le due erano nessuna”, commenta Siti, che poi annota: “notte oscura” era chiamato dal mistico Juan del la Cruz “l’attimo di congiunzione amorosa dell’animo con Dio”. Subito dopo Siti aggiunge: “Nel 1983 sono stati finalmente pubblicati i Sonetti dell’amore oscuro: undici sonetti (fino ad allora censurati) in cui Lorca esprime apertamente l’amore per un uomo “giovane segretario alla Barraca, il teatro di cui Lorca era direttore”. È un amore infelice, perché l’amato ama a sua volta le donne e con esse lo tradisce: ride mentre Lorca piange (“le mie lamentele / erano colombe alla catena”).
Ecco la chiave di lettura che ci fornisce Walter Siti: “Insomma, propongo di leggere l’oscurità di questa poesia come l’immaginifica trascrizione della difficoltà di affermare un amore puro e sensualmente metafisico, al di là della banale opposizione dei sessi”. E poi riporta una frase tratta da un’intervista di Lorca: “normale non è l’amore omosessuale né quello eterosessuale: normale è l’amore senza limiti”.
Alla fine ci sono due colombe nude che fanno tenerezza, ma nella poesia risuona un’unica domanda che il protagonista rivolge alle colombe e alle aquile: “dov’è la mia sepoltura?”. La tomba è sempre nell’oscurità: nella coda del sole e nella gola della luna. Dov’è la mia tomba? Domanda terribile, se si ricorda che il corpo di Lorca fu gettato in una fossa comune e ancora non è stato ritrovato.
Con un rapido tocco da maestro Siti spiega che questo aspetto dell’oscurità segnala un’altra fonte della poesia di Lorca, il surrealismo. “Il suo è un surrealismo laterale e allo stato nascente, antiscolastico e sentimentale”. Una delle ultime poesie di Lorca è Congedo: “Se muoio, / lasciate il mio balcone aperto // Il bambino mangia arance (Dal mio balcone lo vedo). // (Il mietitore taglia il grano / Dal mio balcone lo sento). // Se muoio, / lasciate il mio balcone aperto”.
Siti conclude preso da un dubbio sul fatto “che molto surrealismo programmatico sia stato un gigantesco fenomeno difensivo (sociale in questo caso): rispetto alle semplici terribili verità del totalitarismo in Europa”.
Forse è venuto il momento di sentire la musica di questa poesia provando a leggerla ad alta voce in lingua originale e, grazie anche al commento di Walter Siti, scoprire qualcosa che ci era sfuggito in un altro tempo e sentire che ora ci emoziona.
Federico García Lorca
da Diván del Tamarit (1934)
Qasida de las palomas oscuras
Por las ramas del laurel
Vi dos palomas oscuras.
La una era el sol,
la otra la luna.
“Vecinitas”, les dije,
“¿dónde está mi sepultura?»
“En mi cola”, dijo el sol.
“En mi garganta”, dijo la luna.
Y yo que estaba caminando
con la tierra por la cintura
vi dos águilas de nieve
y una muchacha desnuda.
La una era la otra
y la muchacha era ninguna.
“Aguilitas”, les dije,
“¿dónde está mi sepultura?”
“En mi cola”, dijo el sol.
“En mi garganta”, dijo la luna.
Por las ramas del laurel
vi dos palomas desnudas.
La una era la otra
y las dos eran ninguna.
Post scriptum
Antonio Tabucchi, nel corso di una cerimonia di premiazione nel 2001, lesse il racconto Diciannove di agosto, una storia di finzione in cui uno zingaro racconta allo scrittore di aver assistito, in gioventù, a Granada, all’uccisione del poeta Federico García Lorca. Il racconto è stato pubblicato nella nuova edizione de “Gli Zingari e il Rinascimento”.
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