Sa, il nove è il mio mese, sono nato di settembre. … Sono nato l’equinozio d’autunno, risposi, quando la luna è lunatica e l’Oceano si gonfia.
Nel corso di varie conversazioni ventennali con Antonio – quelle che lui, scherzosamente, era solito chiamare “rapporto dagli antipodi” – che si tenevano attorno al tavolo verde e servivano a un reciproco aggiornamento – avevo sollecitato da Antonio una risposta su quanto fosse autobiografico quel “sono nato di settembre”. La mia intuizione, più che il suo consenso, (ad Antonio piaceva creare ‘piste’ per gli inseguitori – dopotutto era appassionato dal personaggio di Maigret nei gialli di Simenon e di come l’ispettore risolveva i suoi casi) – fu convalidata tempo dopo ed ora conosciamo quando Antonio era nato (mese, giorno e ora) e le circostanze (raccontate da lui stesso) in cui vide la luce in questo mondo. Da Requiem avevo anche tratto lo spunto di un’altra indagine: quale Requiem? Gli avevo proposto quello di Mozart di cui avevo una registrazione con strumenti dell’epoca eseguita dal Coro (“Westminster Cathedral Boys Choir”) e dall’orchestra dell’Accademia di Musica Antica, diretta da Christopher Hogwood ma Antonio non aveva abboccato. La risposta, che non poté negare, mi venne dall’ultimo racconto di L’angelo nero, “La trota che guizza fra le pietre mi ricorda la tua vita” dove si legge
E lui sentì di nuovo la voglia di cantare il Requiem di Verdi,
lo cantò silenziosamente dentro di sé, ne accarezzò tutte
le note, era bello e assolversi, …
Perché Verdi? Non mi aspettavo una spiegazione ma sapevo che prima o dopo avrei capito la scelta di Antonio. Qualche anno dopo, gli anni di Pereira, nel corso di una delle nostre conversazioni Antonio venne fuori con un “Bruno, tu non sei più mediterraneo”; lo aveva detto con quel suo sorrisetto ironico e gli occhi sgranati: pericoloso. Antonio era bravissimo a capire una persona con un solo sguardo. Tra alcune popolazioni del Pacifico è consueta la credenza che la fotografia ‘ruba’ l’anima di chi è fotografato; ebbene, quello sguardo di Antonio era come una radiografia: aveva capito che cosa voleva dire per me vivere in due mondi differenti, quello italiano e quello anglofono. Il suo non era un rimbrotto ma una prova di affetto, di solidarietà come era stato solidale e comprensivo con suoi personaggi, quelli che aveva incontrato e quelli che erano stati creati dalla sua penna, quelli per cui si era battuto all’insegna della giustizia e contro ogni forma di prevaricazione e discriminazione.
Eravamo tornati varie volte sull’dea dell’equinozio perché ero io a provocarlo dicendogli che da me settembre segna l’equinozio primaverile: a Antonio non tornava il fatto che vivevo in un altro emisfero; era come se vivessi in un altro mondo, onde, forse, la mia diversità. Nel millenovecentonovantacinque ero a Pisa con mio figlio Giampaolo; stavo per accomiatarmi da una delle nostre conversazioni perché era il compleanno di mio figlio. Antonio si alzò dal tavolo verde, andò nel salottino adiacente e tornò con un bellissimo libro illustrato (The Whalers a cura di A. B. C. Whipple), un libro sui balenieri con mappe nautiche e disegni vari in regalo a Giampaolo con gli auguri per i suoi sette anni. Era un libro sulle balene che forse aveva consultato mentre scriveva Donna di Porto Pim.
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Nell’ottobre del 2017 sono tornato a Vecchiano in compagnia di Giampaolo e della sua partner Sophie; a riceverci c’era la Zé che ci fece omaggio, con una bellissima dedica a noi tre, del volume Racconti.
È questo il volume che ho tra le mani – oggi 23 settembre 2022 -, seduto davanti a Rangitoto (il gigante che dorme), il vulcano, spento da settecento anni, che domina il golfo di Hauraki, sotto le fronde di un pohutukawa ancora in ripresa dopo l’inverno ma pronto a rifarsi e partorire verso Natale (chissà che ne sapeva lui delle nostre feste) dei bellissimi fiori rossi. Ai miei piedi le acque dell’oceano: sì, non quelle ricordate da Antonio nella citazione da Requiem né quelle dell’Atlantico delle Azzorre ma quelle del Pacifico. Mi ci hanno accompagnato Giampaolo e la sua partner con la figlia che hanno appena avuto: Giampaolo ora ha trentaquattro anni. Tra i libri che Antonio mi ha autografato, quello più caro è La gastrite di Platone dove Antonio – forse per accostamento al filosofo menzionato – ha scritto “a Bruno, aristotelico par excellence, con un caro saluto dall’amico Antonio, Vecchiano, 14.10.98”. Mi è più caro non per vanità – lungi dal pensare qualsiasi riferimento al “maestro di color che sanno” – ma perché mi ha fatto capire un po’ di più, con il senso di humour che Antonio aveva, il suo “non sei più mediterraneo.”
Bruno Ferraro settembre 2022
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