È una bella giornata di fine estate e in tempi di pandemia abbiamo deciso di concederci un diversivo, un’escursione all’Orto Botanico Pietro Pellegrini a Pian della Fioba, a pochi chilometri da Massa.
Per diversi anni sono stato preside al Liceo Classico Rossi di Massa. In quel Liceo sono conservati degli erbari che gli insegnanti di scienze mi indicavano come cimeli preziosi da recuperare e conservare. Prima dell’arrivo della pandemia avevamo anche elaborato un progetto, come si usa fare nelle scuole, per rimettere in ordine i materiali e per poterli esporre. Spesso ero venuto a contatto con il nome di Pietro Pellegrini, ma chissà perché non l’avevo mai associato al Pietro Pellegrini cui è intitolato l’Orto Botanico di Pian della Fioba. Sapevo che in un erbario erano presentì molti “exsiccata” (parola che uso con precauzione e un po’ di diffidenza non padroneggiandone a fondo il significato tecnico che mi sembra nasconda chissà quali contenuti) raccolti e preparati da Pietro Pellegrini, un noto botanico massese, di cui però ignoravo l’esistenza prima della mia venuta a Massa.
Pian della Fioba è una località sotto la cima del monte Altissimo, noto per le sue cave di marmo bianco molto pregiato già estratto al tempo dei romani e utilizzato da artisti come Michelangelo.
È proprio sotto questo monte che si arriva all’orto Botanico Pietro Pellegrini, dopo aver percorso una strada tortuosa che si snoda su un versante roccioso e che nello spazio di una manciata di chilometri sale dal mare fino a sfiorare i duemila metri, una strada che qualcuno dei partecipanti all’escursione ha paragonato alla strada che dal Trentino sale allo Stelvio.
L’orto occupa uno spazio all’interno del quale è percorribile un bellissimo sentiero attrezzato che culmina su uno sperone di roccia dal quale si può ammirare tutta la catena settentrionale del versante marittimo delle Alpi Apuane a partire dalla cima aguzza del Sagro, per passare al Grondilice, al Contrario, alla gobba della Tambura; guardando in basso si vedono i piccoli paesi dai quali partono sentieri, vecchie vie di lizza, strade famose come la via Vandelli che si inerpica da Resceto sul versante marittimo della Tambura per calarsi poi nella Garfagnana, attraversare paesi abbandonati come il paese sommerso di Vagli, risalire sul versante garfagnino dell’Appennino e raggiungere Modena. Una strada che sempre mi ha affascinato, costruita nel Settecento con pietre poste pazientemente una sull’altra come i muri a secco, abbandonata ma ancor oggi percorribile a piedi.
È ben visibile da questo punto di osservazione il ruolo della catena delle Apuane che costituisce una barriera contro i venti settentrionali, freddi e secchi, rendendo più mite il clima del versante tirrenico ma, nello stesso tempo rendendolo più umido perché ostacolo dei venti umidi che vengono dal mare. Sembra di essere all’interno di una vasca. L’orto non è molto alto, è situato a circa 900 m sul livello del mare, ma lo spettacolo che si gode è simile a quello delle cime alpine. Sono visibili anche le profonde ferite inferte a queste montagne dalle cave di marmo. Qualcuno ha detto anche che le cave costituiscono un elemento estetico di rilievo perché portatrici di una forma di bellezza non prodotta dalla natura ma dall’uomo, una sorta di monumento scavato nella roccia con i cavatori come inconsapevoli artisti. Stento ad accettare tale rappresentazione delle cave. Vedo più veritiera l’analogia con le ferite inferte ad un corpo inerme, la distruzione provocata dai fiumi di pietra che partono dai piazzali delle cave e che ricordano non tanto Michelangelo ma le alluvioni che in tempi recenti hanno devastato queste zone.
Ci hanno detto che non abbiamo scelto il momento migliore per visitare l’orto perché mancano i fiori, quelli che dovrebbero essere i protagonisti. Pazienza, tutto il resto non fa sentire la loro mancanza. Ritorneremo.
massimocec settembre 2021
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