Raccontare o meglio narrare è, secondo Jérome Bruner, una delle attività fondamentali per la costruzione di senso per il mondo umano. “La mia tesi è questa: ci sono due tipi di funzionamento cognitivo, due modi di pensare, ognuno dei quali fornisce un proprio metodo particolare di ordinamento dell’esperienza di costruzione della realtà. Questi due modi di pensiero, pur essendo complementari, sono irriducibili l’uno all’altro.… Un buon racconto e un’argomentazione ben costruita rappresentano due genere di cose ovviamente molto diversi tra loro. È vero che ci si può servire di entrambi per convincere un’altra persona; alle cose di cui essi convincono sono fondamentalmente diverse tra loro: le argomentazioni ci convincono della propria verità, i racconti della propria verosimiglianza.” (Jérome Brunner La mente a più dimensioni).
Per Bruner esistono quindi due tipi di pensiero, quello logico scientifico che ricorre alla categorizzazione e alla concettualizzazione, all’argomentazione per costruire un sistema basato sulle teorie, e quello narrativo che “si occupa delle intenzioni e delle azioni proprie dell’uomo o a lui affini (aggiungerei io anche dei mondi disegnati sul modello di quello umano quali il mondo degli dei e dei miti), delle vicissitudini e dei risultati che ne contrassegnano il corso”. Pensiero narrativo e pensiero paradigmatico o logico – argomentativo sono complementari. Il racconto è un po’ come il bambino curioso, pronto a meravigliarsi, ma anche impaurito dall’ignoto, che trascina sui suoi passi l’uomo adulto razionale incline a lasciarsi andare allo scetticismo. L’uno è utile all’altro, l’uno ha bisogno dell’altro, il pensiero narrativo non può fare a meno del pensiero logico argomentativo e viceversa così come il bambino non può fare a meno dell’adulto e l’adulto del bambino.
Lo strumento principale della narrazione, l’architrave che la sostiene è il tempo e, grazie ad esso, l’uomo può ottenere l’inserimento della sua esperienza originariamente caotica e quindi spiazzante in un contesto ordinato, leggibile. Guido Tonelli, il fisico italiano che è stato portavoce per il biennio 2010-2011 per l’esperimento CMS ha guidato il gruppo di scienziati del Cern di Ginevra alla conferma dell’esistenza del bosone di Higgs, dice che grazie a questa capacità di trovare un senso attraverso l’arte, la filosofia, la letteratura l’uomo riesce ad affrontare il terribile scacco della morte, della consapevolezza della disparità che separa l’essere mortale dall’eternità in cui è incastonato. Il tempo della narrazione è il tempo in cui noi siamo calati, il tempo in cui viviamo la nostra esperienza vitale. Quando parliamo del tempo, parliamo di qualcosa estremamente ambiguo, una famiglia di concetti legati da parentele talvolta esili. Parliamo di tempo quando parliamo di quella sorta di contenitore “universale” disegnato da Newton in cui realizziamo la nostra esperienza di vita ordinaria, ma parliamo di tempo anche quando parliamo della nostra percezione mentale degli istanti di vita che sconvolgono il tempo ordinario, il tempo costituito da istanti che si succedono in modo uniforme, come ha ben evidenziato Proust nel suo Alla ricerca del tempo perduto. Tempo è anche il particolare sentire senza percezione che costituisce una struttura fondamentale della vita dal punto di vista neurobiologico, un tempo codificato nelle nostre cellule e che in qualche modo si avvicina all’idea kantiana del tempo come uno degli elementi dell’intuizione trascendentale attraverso i quali si manifesta e si organizza l’esperienza fenomenica. Parliamo di tempo anche quando ci riferiamo a quelle dimensioni non ordinarie del mondo fisico in cui siamo immersi, quel mondo dove la nostra esperienza ordinaria non funziona più, dove gli orologi vanno a velocità diverse, costituendo una sorta di arcipelago dei tempi, dove non si può pensare al tempo come separato dalla materia, dallo spazio e dall’energia, dove il tempo ha un inizio e avrà una fine all’interno di un caos costituito da particelle senza massa. Ciò che hanno in comune tutte queste cose che chiamiamo tempo forse sono solo alcune caratteristiche quali la successione e l’irreversibilità. Raccontare consente di riappropriarsi in qualche modo del tempo e delle sue caratteristiche rendendolo una struttura percorribile all’indietro e in avanti, uno strumento per superare quell’angoscia che nasce dal percepire la propria fragilità all’interno di un universo sentito come immobile ed eterno. I fisici contemporanei dicono che anche la loro scienza è in grado di tornare indietro nel tempo attraverso gli scontri tra particelle generati all’interno dei grandi anelli degli acceleratori di particelle oppure attraverso i telescopi che riescono a catturare la luce di galassie emessa miliardi di anni luce già trascorsi. Ma per tali percorsi nel tempo occorrono strumenti potentissimi e conoscenze non alla portata di tutti; il racconto è stato forse il primo strumento alla portata la maggior parte degli uomini che è stato utilizzato per uscire dall’angoscia di un’esistenza senza un senso grazie al racconto delle origini, al mito, ai racconti che hanno fondato le grandi religioni. Sono tutti racconti che hanno come fine ricerca di un senso per la vita dell’uomo gettato in un mondo per lui estraneo, indifferente. Esiodo parla nella sua Teogonia di un caos iniziale e di un demiurgo che dà ordine al caos, un ordine che consente la narrazione. Secondo i fisici contemporanei quest’ordine è il frutto di una fluttuazione del caos, un caos inteso come vuoto, ma un vuoto che non è il nulla, piuttosto il ribollire continuo di particelle senza massa. La capacità di narrare è anche il frutto anche di questa fluttuazione che ha fatto nascere dal Big Bang il nostro mondo, un angolo minuto, sottratto momentaneamente alle catastrofi, ai mutamenti brutali, al freddo e al buio dell’universo. Ma è soprattutto il frutto di un essere capace di trovare un senso nel disordine, un senso che è costruzione di un legame tra ciò che è stato, ciò che, e ciò che sarà, tra il soggetto e tutto ciò che lo circonda, tra lui e i suoi simili anche quando questa narrazione apparentemente diventa disordine, come accade nella letteratura contemporanea, in Joyce, in Beckett, in Musil, una letteratura che si sviluppa intorno al tentativo di non perdere un filo di senso anche dopo il disincanto, la caduta delle illusioni prodotte dai racconti lineari e ordinati.
Raccontare oggi è spesso un’attività del tempo perso, un’attività non utile alla produzione, all’economia, ai processi ritenuti remunerativi e perciò auspicabili. Ma forse dovremmo recuperare l’idea che la narrazione nasce, come la filosofia per Aristotele, dal θαῦμα thaûma, dal prodigio, dalla meraviglia mista a paura, al terrore che dà vita a un miracolo, che diventa taumaturgica. Ancora una volta il tempo perso diventa tempo utile perché aiuta a guarire, ad affrontare lo scacco ineludibile della vita.
massimocec aprile 2021
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