In un pacco di fotografie ho trovato queste tre: ritraggono cinque persone diverse; forse lo sfondo suggerisce che siano state scattate nello stesso luogo . Non so chi siano le persone ritratte. Non lo saprò mai perché non c’è più nessuno a cui chiedere informazioni. I volti mi sembrano noti, ma il ricordo è vago. Sono tre foto strane rispetto alle altre che ho trovato tra quelle che appartenevano a mia madre, sono completamente diverse dalle altre con cui erano mischiate. Le altre sono foto più vicine alle istantanee.
Erano tre oggetti muti come tanti altri di questo mondo dispersi nel mucchio di altri oggetti e ora sono tre immagini con cui dialogare perché io le sto guardando e mi sto chiedendo qualcosa rispetto alla loro ricomparsa. Timidamente iniziano a parlare, a trasformarsi da oggetto in soggetto, ma il loro discorso è debole, appena accennato. Chi sono quelle persone? Sono certamente state e sono state davanti all’obiettivo, molto probabilmente hanno voluto essere davanti all’obiettivo perché sono fotografie risultato di una messa in posa. Qualcosa possono forse dire i loro abiti, ma stranamente non sono coerenti con le altre foto del mucchietto. La famiglia di mia madre era una famiglia di contadini e gli abiti delle persone ritratte non sembrano quelli di contadini, a meno che non siano gli abiti della festa; nelle altre fotografie i soggetti ritratti erano riconoscibili dai loro vestiti e dal contesto, i soggetti delle tre fotografie no. Forse sono abiti indossati per una particolare situazione (un matrimonio, una prima comunione?). A guardarle bene sembrano le foto che gli emigranti inviavano alle loro famiglie dai luoghi in cui erano arrivati per dimostrare il loro successo nella nuova terra ma mia madre non mi ha mai parlato di parenti emigrati. Chi dice che l’immagine comunica più della parola? L’immagine è silenziosa. Sembra che comunichi di più perché comunica tutto in un solo momento, per mezzo di un atto istantaneo mentre la parola ha bisogno di tempo e di articolazione, ma la comunicazione tramite l’immagine è una comunicazione parziale, forse in alcuni casi anche più intensa sul piano emotivo, ma bisognosa di un completamento, di una didascalia. L’immagine rispetto alla parola, alla parola diversa dalla poesia, è più criptica.
Forse uno storico potrebbe far parlare le fotografie in modo più chiaro, attivando quelle forme di sapere indiziario che servono per dialogare con il passato, per riconnettere le tracce provenienti da fonti disperse e frammentarie, il famoso sapere indiziario così ben descritto e difeso da Carlo Ginzburg contro chi vuol mettere sullo stesso piano storia e letteratura unendole nel calderone dell’interpretazione soggettiva. Ma che ciò accada per queste tre fotografie è improbabile; occorre un interesse che smuova risorse, occorre una grammatica e un linguaggio per poter dialogare con gli oggetti del passato, perché è un dialogo che ha uno scopo, andare incontro all’essere nelle sue diverse manifestazioni e l’incontro con l’essere non può evitare lo scoglio duro della verità. Il loro destino è tornare ad essere oggetti muti di questo mondo, avvolti dal silenzio. Sono oggetti destinati a perdersi nel caos indistinto e magmatico del presente che le ingoierà a meno che qualcuno non trovi in essa qualche elemento che solleciti la sua curiosità. Nessuna fotografia è una fotografia se non c’è qualcuno che la guarda e la interroga. Nello stesso tempo ogni oggetto – fotografia fino a quando rimarrà leggibile sarà potenzialmente una fotografia in senso aristotelico ed a questa potenzialità chiunque si può legare perché la fotografia diventi una forma, un oggetto della comunicazione.
Se è così, quale sarà il destino dei miliardi di immagini che immagazziniamo nelle memorie dei nostri telefonini, che molti distribuiscono senza freno sui social. Atti comunicativi incompiuti e destinati a rimanere tali per sovrabbondanza, per eccesso logorroico.
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